L’acqua potabile, lo sappiamo, sul pianeta non è infinita e, soprattutto, non è disponibile nelle stesse quantità ovunque. Si tratta quindi di un problema assai grave, che in molti stanno cercando di risolvere. Il prestigioso MIT (Massachusetts Institute of Technology) aveva già sviluppato alcuni anni fa un dispositivo in grado di estrarre acqua potabile dall’aria, ma la produzione non era sufficiente a soddisfare il fabbisogno prefissato. Gli scienziati però non si sono arresi e di recente è arrivata la notizia: i ricercatori del MIT sono riusciti a incrementare notevolmente la produzione della macchina, che ora è molto più funzionale.
Il dispositivo sfrutta la differenza di temperatura al suo interno per consentire al materiale assorbente, che raccoglie il liquido sulla sua superficie, di assorbire l’umidità dall’aria durante la notte e di rilasciarla il giorno successivo. Quando il materiale viene riscaldato dalla luce solare, la differenza di temperatura tra il piano riscaldato e la parte inferiore ombreggiata fa sì che l’acqua fuoriesca dal materiale assorbente, che si condensa su un piatto di raccolta.
Originariamente il dispositivo utilizzava materiali specializzati chiamati strutture metallo-organiche, che sono però costosi e disponibili in quantità limitate, sostituito in questa seconda versione da materiali di più immediato reperimento e costo inferiore: la zeolite, un minerale di tipo siliceo con una struttura cristallina molto aperta e canali interconnessi, proprio come una spugna.
Il materiale, ampiamente disponibile e con le necessarie proprietà assorbenti, ha garantito anche prestazioni superiori, con un miglior potere assorbente, per metro quadro di area di raccolta, che assicura ora 0,8 litri di acqua al giorno, anche in zone aride. La capacità inoltre di sfruttare le variazioni termiche giorno notte costituisce un indubbio vantaggio rispetto ad altre soluzioni AWH (Atmospheric Water Harvesting, raccolta di acque atmosferiche). Attualmente infatti gli approcci AWH esistenti includono la raccolta della nebbia e la raccolta della rugiada, ma entrambi hanno limitazioni significative. La prima infatti funziona solo con il 100% di umidità relativa ed è attualmente utilizzata solo in alcuni deserti costieri, mentre la seconda richiede una refrigerazione attiva per fornire superfici fredde dove l’acqua si condensa, con relativa richiesta di fonti energetiche di alimentazione e necessità di un livello di umidità di almeno il 50%, a seconda della temperatura ambiente, due limitazioni di cui al soluzione del MIT è priva. Gli scienziati stanno ora lavorando all’ottimizzazione dei materiali e del design del dispositivo, per adattarlo ad applicazioni specifiche.