“Stiamo facendo una chiamata alle armi, dobbiamo richiamare medici e infermieri. Qui è peggio che a marzo”. E’ il grido d’allarme lanciato da Claudio Micheletto, direttore dell’unità di pneumologia dell’Azienda ospedaliera di Verona, dove da ieri è stato riaperto il reparto per i pazienti Covid che era stato chiuso quattro mesi fa. Raddoppiato l’indomani dalla denuncia del sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti: “Servono medici, infermieri e tecnici, sennò torniamo come a marzo”, è la denuncia con cui il primo cittadino si fa carico della situazione dell’ospedale dove i ricoverati in terapia intensiva ora sono cinque ma presto saranno di più, perché la struttura dovrà farsi carico anche dei pazienti Covid in arrivo da Milano. “Se ci chiedono di aprire posti Covid, abbiamo bisogno di rinforzi”.

Il copione della “seconda ondata” senz’argini era già scritto, anche per i medici. Mentre si registra l’impennata dei contagi, riesplode il problema della mancanza di camici bianchi. Il governo ha appena deciso di stanziare altri 4 miliardi per la Sanità, parte dei quali per assumerne altri 34mila. Quelli assunti finora dalle Regioni sono altrettanti, ma non bastano a garantire neppure il funzionamento dei reparti di terapia intensiva: dovevano arrivare a quota 9.300, ne risultano attivi solo 6.628, anche per mancanza di anestesisti e rianimatori. La risposta alla nuova ondata risulta dunque insufficiente anche sul fronte del personale sanitario, come per i tamponi, le mascherine e i reparti: in otto mesi la “dote” del governo non ha cambiato il quadro per cui ogni giorno che passa aumenta il rischio di saturazione dei posti. E il rischio di rivedere lunghe file ai pronti soccorso ospedalieri. Perché è successo?

A metà maggio il governo aveva messo sul piatto oltre un miliardo di euro. “Al 9 ottobre risultano assunti 33.857, quasi tutti con contratti a termine”, spiega a ilfattoquotidiano.it il presidente dell’Ordine dei Medici, Filippo Anelli, che chiede di sbloccare subito il concorso per 14.500 specializzandi tra i quali si contano un migliaio di anestesisti. Ma 31mila assunti sono tanti o sono pochi? Le strutture che garantiscono assistenza ospedaliera in Italia sono mille, tra ospedali pubblici e privati accreditati. Ciascuno, in media, avrebbe potuto ricevere 30 professionisti in più che – spalmanti su turni – non sono certo un plotone tale da modificare la capacità di risposta alla nuova emergenza. Anche perché “quelle assunzioni in realtà sono andate per lo più a rimpiazzare il personale andato in pensione”, fa notare il segretario nazionale dell’Anaao Carlo Palermo, che è il più rappresentativo sindacato dei camici bianchi ospedalieri.

Ma dove sono i neoassunti? Sulla spesa sanitaria regionale le informazioni sono sempre parziali e frammentarie perché – anche nell’emergenza – non c’è un organismo e una procedura di raccordo dei dati di spesa tra Stato e Regioni, come si è visto in altri frangenti, dai vaccini alle mascherine. Mancano le stime del fabbisogno, manca il dato su come viene (o non viene) colmato. Dati ufficiali e verificati di spesa li fornirà l’Agenzia Nazionale per i servizi Sanitari (Agenas), ma solo ad aprile del prossimo anno. In mancanza, si usano rilevazioni parziali, dove possibile.

Nel caso dei medici assunti esiste un monitoraggio settimanale svolto dal gruppo di ricerca dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica che segue mensilmente l’andamento della spesa e i modelli organizzativi di risposta al Covid-19. Nell’ultimo report (scarica), gli analisti di Altems hanno esaminato oltre 6mila assunzioni strutturali, ovvero l’acquisizione di personale tramite bandi per posizioni a tempo indeterminato e determinato. Sfugge invece a ogni statistica il personale reclutato in corsia direttamente, con contratti di lavoro autonomo, quello confermato con contratti già in essere, gli specializzandi e i professionisti già in pensione.

I dati del report sono riportati in numeri assoluti e in percentuale. Difficile attribuire una “pagella” perché entrambi gli indicatori sono correlati al punto di partenza, cioè a quanto erano sguarnite le piante organiche e al fabbisogno generato dai contagi che sono diversi da regione a regione. La Sicilia con 700 assunzioni detiene il record che ha permesso di aumentare dell’8% la dotazione pre-covid. Segue la Lombardia, record di contagi negli ultimi giorni, dove il personale medico è aumentato di 583 unità con un incremento del 4% sulla dotazione pre-covid. Poi il Veneto di Zaia, che ha assunto 438 camici aumentando la presenza del 6%. Il Lazio con 362 si è garantito un aumento del 5%. La Campania di De Luca ha assunto 264 tra medici e infermieri, portando a un incremento del 4%. In Puglia Emiliano a marzo aveva promesso di assumere mille infermieri e 600 medici, ma il dato ad oggi è 221 con una crescita del 3%. La Liguria ha assunto 74 medici, con un +2%.

Dove sia impiegato questo personale non è chiaro. Gli analisti hanno diviso la statistica a seconda del bando, distinguendo quelli con una dicitura che fa specifico riferimento all’emergenza coronavirus e quelli generici. Le regioni senza piani di rientro hanno dedicato il 48% dei nuovi posti a specializzazioni mediche legate al Covid-19 (Anestesia e rianimazione; malattie apparato respiratorio; malattie infettive; medicina d’urgenza; medicina interna; microbiologia e virologia; sanita pubblica) ed il restante 52% ad altre specialità. Al contrario, le Regioni in piano di rientro hanno sfruttato l’occasione per rinforzare il personale non legato direttamente all’emergenza COVID-19, ridotto dal blocco del turnover, in maniera maggiore rispetto (56%) rispetto a quello legato all’emergenza COVID-19”. In maniera dozzinale, si può dire che uno su due dei 6mila assunti sia finito nei reparti in qualche modo collegati all’emergenza.

Un’altra parte del report fa emergere la correlazione tra mancanza di medici e terapie intensive che è il grande nodo su cui la Fase 2 sta mostrando la sua fragilità. “Prima dell’emergenza sanitaria – si legge – il rapporto tra anestesisti e rianimatori e posti letto di TI era di 2,5. In altre parole per ogni posto letto c’erano 2,5 unità di personale. Se consideriamo la risposta strutturale delle regioni, ovvero l’acquisizione di personale tramite bandi per posizioni a tempo indeterminato e determinato, e l’incremento di posti letto previsto dal DL 34 il rapporto scende a 1.6 (-0.9), con rimarcate differenze regionali”. Il tasso di saturazione nazionale medio è oggi del 6,4% con punte in Valle d’Aosta (16,7%) ,Sardegna (11,4%) ,Liguria (12,2%) e Campania (11,1%).

“Il valore più basso – si legge – dell’indicatore in questione misurato post DL 34 ed implementazione di personale si registra per Calabria e Marche: 1,4 anestesisti per posto letto di terapia intensiva. Al contrario la regione che mantiene il rapporto più alto è il Friuli Venezia Giulia con 2 unità per posto letto. Se consideriamo la riduzione del suddetto rapporto, la regione che registra la riduzione più alta è la Valle d’Aosta (- 1.7), passando da 3,5 anestesisti e rianimatori per posto letto prima dell’emergenza a 1,8. Al contrario, Veneto e Molise registrano il decremento minore passando rispettivamente da 1.9 a 1.6 e da 2.0 a 1.7”.

Come uscirne? Il governo, vista l’impasse, ha deciso di stanziare il 60% delle risorse della manovra per garantire nel 2021 l’assunzione di altri 30mila camici a tempo determinato. Le reazioni delle rappresentanze professionali sono di cauto ottimismo. Per far fronte alla carenza di anestesisti-rianimatori, che potrebbe mandare in sofferenza i reparti durante la seconda ondata dell’epidemia di Covid, il presidente dell’Ordine Filippo Anelli, chiede di sbloccare subito il concorso per specialisti che vede inchiodati ai ricorsi 14.500 potenziali medici. Chiede anche di utilizzare nei reparti di anestesia-rianimazione tutti quelli presenti nel sistema sanitario nazionale e se non basta di allargare la possibilità per gli specializzandi di essere impiegati già dal terzo anno di corso, anziché, come avviene ora, dal quarto”. Si tratterebbe di 600 anestesisti.

Anche Carlo Palermo (Anaao) mostra cauta soddisfazione. “L’intervento sulle assunzioni non può, però limitarsi ad una semplice proroga dei contratti di varia tipologia attivati a marzo, peraltro insufficienti per quanto riguarda i medici. Occorre avviare procedure semplificate per nuove assunzioni contrattualizzate, sia pure a tempo determinato, attingendo, in mancanza di specialisti, al bacino dei Medici specializzandi degli ultimi due anni. Non possiamo perdere questa occasione per rinforzare la trincea negli ospedali”.

“Le assunzioni sono a tempo determinato e lo capiamo perché la tempistica è più rapida, ma ormai sono passati 9 mesi dall’inizio della crisi e i contratti a tempo indeterminato non sono stati stabilizzati. E’ importate per migliorare la qualità del servizio, per l’organizzazione del lavoro e la formazione dei Medici”. Anche per la presidente della Società Italiana di Anestesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI), Flavia Petrini, la seconda ondata comporterà ora dei problemi nelle regioni meno attrezzate. “In passato non abbiamo mai fatto proclami di vittoria anche se ci siamo espressi con orgoglio sulla capacità di reazione del sistema sanitario nazionale. Ma c’è una doppia velocità per applicazione dei dpcm e per l’analisi dei bisogni. Molte regioni che uscivano dal piano di rientro avevano già difficoltà di personale“. E un altro problema, spiega, è quello dell’informatizzazione dei sistemi: non si conosce neppure esattamente quanti siano gli anestesisti rianimatori in Italia e le cartelle cliniche non sono informatizzate e confrontabili.

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