I militari stanno eseguendo una ordinanza di misura cautelare e un decreto di sequestro preventivo emessi dal gip del Tribunale di Milano su richiesta della Dda
Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia. Sono le regioni in cui sono state individuate le discariche in cui sono state smaltite circa 24mila tonnellate di rifiuti provenienti – su diversi canali – da vari impianti del Nord Italia. L’operazione contro roghi e discariche abusive vede impegnati 400 carabinieri che stanno eseguendo una ordinanza di misura cautelare e un decreto di sequestro preventivo emessi dal gip di Milano, Alessandra Simion, su richiesta della Dda nei confronti di una organizzazione, ritenuta responsabile di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, “gestione di rifiuti non autorizzata” e ”realizzazione di discariche abusive”. Sono impegnati i carabinieri del Noe di Milano insieme al gruppo per la Tutela Ambientale di Milano e ai comandi provinciali territorialmente competenti. Nel corso delle indagini sono state denunciate sette persone e sequestrati 7 aziende operanti nel campo del trattamento dei rifiuti e 9 capannoni industriali e alcuni automezzi – anche appartenenti a società di trasporto – per un valore di sei milioni di euro.
I rifiuti trattati dalle aziende sono indifferenziati urbani, derivanti da produzioni industriali e artigianali e anche rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Le discariche abusive sono localizzate e sequestrate nei comuni di Milano, Lissone (Monza Brianza), Origgio (Varese), Lurate Caccivio (Como), Verona San Massimo, Pregnana Milanese (Milano), Romentino (Novara), Castellazzo Bormida (Alessandria) e Mossa (Gorizia). Le indagini, iniziate nel gennaio 2019 dopo un controllo del Noe di Milano della ditta meneghina di trattamento rifiuti “Waste mag Srl”, hanno permesso di individuare una rete costituita da diversi soggetti – alcuni dei quali collegati direttamente e/o indirettamente ad imprese operanti nel settore dei rifiuti (tra cui anche un soggetto già condannato per associazione di tipo mafioso), altri risultati sprovvisti di qualsivoglia titolo autorizzativo – che, attraverso operazioni continuative e con ruoli diversi, in modo organizzato, “condividevano un articolato e rodato programma criminoso che prevedeva l’abusivo smaltimento di ingenti quantitativi di rifiuti speciali per il conseguimento di un illecito profitto quantificato in circa 900.000 euro”. Due le operazioni individuate i trasbordi – i rifiuti venivano scaricati e stoccati, ricaricati su di un automezzo di proprietà di una ditta di “fiducia” e smaltiti abusivamente presso i capannoni industriali prescelti da destinare a discarica abusiva di rifiuti; un’operazione del tutto clandestina di trasferimento illegale di rifiuti da camion a camion. Nell’operazione meramente cartolare denominata “giro bolla”, attraverso la quale il gestore dell’impianto fa apparire adempiuti gli obblighi di ricevimento e recupero senza in realtà neanche scaricare dal mezzo i rifiuti ricevuti con regolare formulario di identificazione mentre all’autista del mezzo che li trasferisce (anche in questo caso di “fiducia”) viene rilasciato un documento di trasporto che attesta formalmente il trasferimento di materiale ottenuto da operazioni (fittizie) di recupero e/o riciclaggio.
Per gli inquirenti il modus operandi era attuato grazie al controllo di un impianto formalmente autorizzato al ricevimento, recupero e/o smaltimento di rifiuti speciali; la disponibilità diretta di uno o più capannoni dismessi acquisiti attraverso contratti di locazione, privi di qualsivoglia titolo autorizzativo alla gestione dei rifiuti, nonché sprovvisti dei presidi antincendio, dove poter stipare abusivamente i rifiuti; la presentazione presso il SUAP (Sportello Unico Attività Produttive) di un’istanza diretta ad avviare un procedimento amministrativo al fine di ottenere un’ autorizzazione in regime semplificato per il recupero di rifiuti non pericolosi. Tale tipo di richiesta rappresenta spesso un particolare escamotage amministrativo a cui fare ricorso per eludere i controlli. C’è poi il pagamento dei proprietari/detentori dei capannoni dismessi (che in alcuni casi risultavano tuttavia ignari attesa la formalizzazione di contratti aventi motivazioni di fantasia), privi di autorizzazioni relative alla gestione dei rifiuti. Che venivano pertanto immessi nel circuito illegale utilizzando un falso codice dell’elenco europeo dei rifiuti (EER) riferito prevalentemente a “plastica e gomma” oppure a” imballaggi di materiali misti”, cioè rifiuti su cui è ancora possibile un recupero di materia, in luogo del corretto codice corrispondente ai rifiuti che non presentano frazioni valorizzabili, e che possono quindi essere smaltiti solo in discarica autorizzata o termovalorizzatore.