Se l’operazione dovesse andare in porto, Cassa Depositi e Prestiti dovrà sgomitare per non finire in scia alle due vecchie volpi del settore che si è scelta come partner per rilevare Autostrade per l’Italia e chiudere la querelle con Benetton realizzando un adeguato profitto per le casse pubbliche e anche un buon servizio per i consumatori-contribuenti.
Il fondo americano Blackstone è uno dei più grandi e influenti investitori del mondo con interessi nel mattone, nei debiti sovrani e naturalmente nelle imprese, quotate o meno che siano. Ha in gestione ben cinquecentosessantaquattro miliardi di dollari. Una somma stratosferica che è pari ad oltre un quarto del prodotto interno lordo italiano. Con questa enorme massa di soldi,
Noto per essere da sempre uno dei maggiori investitori stranieri di Piazza Affari e uno dei protagonisti della stagione delle privatizzazioni degli anni ’90, insieme al caso Autostrade, il fondo statunitense è recentemente tornato agli onori delle cronache finanziarie italiane per aver organizzato un’asta per la cessione dell’ex Palazzo delle Poste in piazza Cordusio a Milano che aveva comprato nel 2015. Un immobile di pregio che vale fra i 220 e i 240 milioni di euro ed è quasi un simbolo della passione di Blackstone per il mattone italiano.
In passato il fondo americano che affianca Cassa Depositi e Presiti e gli australiani di Macquaire nell’operazione Autostrade per l’Italia, non si è tirato indietro nella gara per alcuni immobili di Mps e neppure nella battaglia con Rcs per l’immobile che ospita il Corriere della Sera in via Solferino a Milano, ceduto dalla casa editrice nel 2013 con un’operazione poi contestata da Urbano Cairo per via del prezzo ritenuto troppo basso. E così Davide ha sfidato Golia in una contesa ancora in corso, impendendogli tra l’altro di rivendere lo storico palazzo milanese ai tedeschi di Allianz che l’avrebbero pagato il doppio del prezzo di acquisto.
Ma il mattone è solo uno dei mille interessi del fondo statunitense che in Italia lavora con il partner operativo Kryalos e che la scorsa estate è stato indicato come potenziale finanziatore indiretto del calcio italiano con un centinaio di milioni di euro per la Lega Calcio. Ma la vera partita indimenticabile nel made in Italy è stata quella con la famiglia Versace che nel 2014 ha interrotto anni di rumour senza seguito, vendendo il 20% della maison dello scomparso Gianni al fondo americano che nel giro di 4 anni, al momento del passaggio a Michael Kors, ha visto raddoppiare il valore della partecipazione.
Dal canto suo il fondo australiano Macquarie Infrastructure and Real Assets, ha all’attivo una certa fiducia da parte del sistema bancario italiano visto che dal 2016 ad oggi ha raccolto 1,5 miliardi di euro da parte di 21 investitori istituzionali italiani. Il fondo di Sydney, poi, non è nuovo ai grandi investimenti in infrastrutture italiane. Ed è anche una vecchia conoscenza dei Benetton con cui si è scambiato il testimone in occasione del passaggio di mano del 45% di Aeroporti di Roma nel 2007.
All’epoca i fratelli di Ponzano Veneto facevano capolino via Gemina nel capitale dello scalo romano, mentre Macquarie usciva di scena con un guadagno monstre di 750 milioni pagato dai soci italiani (Gemina, Finstahl, Falck, Italpetroli, Sensi, Impregilo). Non senza qualche strascico nel rapporto con il fisco italiano che ha contestato con successo la tassazione ridotta (il 15% contro il 27%) applicata dalla Macquarie Aeroport Luxembourg, poi uscita dal fondo australiano, su 14 milioni di dividendi staccati da Adr.
Nella partita per le Autostrade Macquarie ha subito puntato ad avere un ruolo strategico. Motivo per cui si è affidato a consulenti di lungo corso come l’ex presidente di Telecom Italia e storica guida di Enel, Fulvio Conti, e l’ex presidente di Cassa Depositi e Prestiti, Claudio Costamagna, molto apprezzato da Matteo Renzi. Lo stesso che si era fermamente opposto alla revoca della concessione autostradale ai Benetton.
Il gioco evidentemente valeva la candela per il fondo australiano che ha realizzato 125 miliardi di investimenti in infrastrutture di cui 57 solo in Europa. E in Italia ha già scommesso su due aziende strategiche: il gruppo idroelettrico Hydro Dolomiti energia e la Società gasdotti italiani, presieduta dallo stesso Conti. Nella Penisola, in tempi recenti, ha anche realizzato una plusvalenza stimata da Reuters in 400 milioni vendendo l’ex Sorgenia Green, poi ribattezzato Renvico, alla francese Engie.
Ma non tutti gli affari sono andati a gonfie vele. Anzi. In Spagna Macquarie è finito nel mirino della Consob locale con l’accusa di “pratiche finanziarie non raccomandabili”, anche a danno del patrimonio aziendale. In Gran Bretagna invece, il fondo è stato ribattezzato “canguro vampiro” per l’operazione sulla società di gestione delle acque privatizzata Thames Water con cui, è l’accusa della Bbc, sarebbe riuscito a ottenere rendimenti sopra la media aumentando i debiti e riducendo gli investimenti. Una vicenda analoga a quella delle autostrade della Indiana Toll Road fallita sotto il peso di 5,8 miliardi di debiti nel 2014.