Si fanno sentire gli effetti della pressione della lobby dell’agrobusiness (e non solo) sull’iter della riforma proposta dalla Commissione europea per la Pac (Politica agricola comune), che viene votata in queste ore durante la seduta plenaria del Parlamento europeo, a Strasburgo. Negli stessi giorni in cui si discute in seno al Consiglio europeo dei ministri dell’Agricoltura Ue, in corso in Lussemburgo. Si tratta di un pilastro fondamentale dell’Unione, il più grande programma di sussidi diretti esistente al mondo, che rappresenta da solo (con i suoi 344 miliardi per il periodo 2021-2027) oltre un terzo del bilancio Ue ma che finora ha distribuito l’80% dei sussidi ai grandi produttori e alle coltivazioni intensive, lasciando il 20% ai piccoli e medi produttori che puntavano sull’agricoltura di qualità. Gli interessi in gioco, dunque, sono molto forti nella partita che si gioca prima in Parlamento: quanto approvato peserà molto sul negoziato del ‘Trilogo Ue’ (Commissione, Consiglio e Parlamento) che avrà inizio nelle settimane successive al voto per concludersi entro la primavera del 2021.

IL MAXIEMENDAMENTO – La settimana scorsa i tre maggiori gruppi politici europei, il Partito popolare europeo (Ppe), i Socialisti e Democratici (S&D) e Renew Europe (Liberali) hanno sottoscritto un accordo sul voto i cui termini, però, hanno già raccolto le critiche dei principali rappresentanti della società civile e delle ong ambientaliste di tutta Europa. Il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha anticipato a oggi pomeriggio la discussione del maxiemendamento alla Pac frutto di quell’accordo, prevista per domani. La Coalizione #CambiamoAgricoltura (che rappresenta 70 associazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica), invece, ha inviato a tutti i Parlamentari europei eletti in Italia una lettera-appello per chiedere un voto responsabile e lungimirante per una vera riforma della Pac coerente con gli obiettivi del Green Deal europeo. Le associazioni sottolineano che, in base al regolamento del Parlamento Ue, l’approvazione del maxiemendamento renderebbe impossibile la discussione e il voto degli altri emendamenti presentati, che sono il cuore della Pac. “Sarebbe una vera ‘ecotruffa’ – denuncia la coalizione – che umilia la democrazia parlamentare facendo prevalere un accordo politico condizionato dalle grandi lobby dell’agricoltura industriale e dalle corporazioni agricole che si oppongono al cambiamento: un colpo di spugna che azzera ogni ambizione climatico-ambientale dalla proposta di regolamento Pac, minacciando la credibilità dell’intero pacchetto del Green Deal voluto dalla Commissione a guida Von Der Leyen”.

Una posizione per certi versi condivisa dal commissario europeo per l’Agricoltura Janusz Wojciechowski, che ha messo in guardia gli eurodeputati dal rischio che la proposta di compromesso sulla nuova Pac, presentata in extremis dalle tre principali famiglie al Parlamento europeo, possa indebolire il Green Deal e la strategia sulla biodiversità a causa di alcuni cambiamenti che “non soddisfano la nostra ambizione di una Pac più verde ed equa”. Il commissario ha precisato che “se si vuole raggiungere obiettivi stabiliti sul green deal europeo è fondamentale che i pilastri di questa architettura vengano mantenuti o rafforzati con la Pac futura” e questo è “essenziale se vogliamo che la Pac contribuisca in modo credibile, con il 40% della propria spesa, all’obiettivo del 30% della spesa del bilancio Ue per le ambizioni climatiche“.

LA PROPOSTA DELLA COMMISSIONE – La proposta di revisione della Pac della Commissione, infatti, risale al 2018 ma il 20 maggio scorso, su pressione dell’Europarlamento, l’organo esecutivo dell’Ue ha presentato a Bruxelles un altro documento, il primo vero tentativo di politica agroalimentare integrata, che cercava proprio una coerenza con il Green Deal. Con la strategia ‘Farm to Fork’ la Commissione ha fissato nero su bianco i suoi obiettivi: raggiungere una quota di almeno il 30% delle aree rurali e marine europee protette, trasformare il 10% delle superfici agricole in aree ad alta biodiversità, ridurre entro il 2030 del 50% dell’uso dei fitorfarmaci in agricoltura e del 20% quello dei fertilizzanti, ma anche tagliare del 50% i consumi di antibiotici per allevamenti e acquacoltura, far aumentare del 25% delle superfici coltivate a biologico ed estendere ulteriormente l’etichetta d’origine sugli alimenti. Le reazioni sono state le più disparate: dal plauso di Assobio al rammarico di Assica (Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi). Di fatto, però, il quadro che si va delineando è molto diverso dalla strategia della Farm to Fork, come mostra l’accordo dei gruppi politici europei.

I PUNTI CRITICI – Al voto ci sono alcuni emendamenti specifici, presentati tra i circa mille messi sul tavolo. Tra le proposte più criticate, per esempio da Slow Food Europa, ci sono quelle di non prevedere un budget specifico per la protezione della biodiversità sui terreni delle aziende agricole e di rimuovere l’obbligo di almeno il 10% dei terreni agricoli dedicati alla biodiversità. “Altro elemento sconcertante – ha dichiarato Marta Messa, direttrice di Slow Food Europa e a capo dell’ufficio Slow Food di Bruxelles – è l’intenzione di rimuovere il divieto di arare e convertire i prati permanenti nei siti Natura 2000, che sono aree protette di interesse pubblico e che dovrebbero rimanere tutelate per il bene delle persone, degli animali e dell’ambiente”. Per Slow Food, il Parlamento europeo rischia di “arrestare e boicottare il processo di Green Deal europeo e i suoi obiettivi, contenuti nelle strategie approvate pochi mesi fa, quelle sulla Biodiversità 2030 e la Farm to Fork”. Uno dei nodi più importanti da sciogliere, però, riguarda la possibilità di inserire un tetto alla quantità di sussidi che un singolo agricoltore può ricevere, una vera rivoluzione rispetto alla Pac che abbiamo conosciuto finora. E se la proposta della Commissione lascia piuttosto liberi i singoli Stati di decidere come impiegare le risorse che arrivano da Bruxelles, il Parlamento Ue ha invece proposto l’introduzione di una soglia obbligatoria. Bisognerà capire a quanto verrà fissata.

LA POSIZIONE DELLA MINISTRA BELLANOVA – A riguardo si è già espressa la ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, che ha indicato come prioritarie per raggiungere una posizione comune tra i Paesi Ue “maggiori garanzie sul ruolo delle Regioni come autorità di gestione delle misure per lo sviluppo rurale” e una decisione a livello nazionale sulla dotazione degli aiuti diretti da destinare alle pratiche ambientali. Sulla riserva dei pagamenti diretti, ha chiarito la ministra Bellanova “la proposta del 20%” per tutti “non ci vede favorevoli”, perché scelte del genere “vanno fatte” a livello nazionale “dopo una robusta valutazione dei bisogni”. L’esponente del governo è, poi, tornata a proporre di destinare “una piccola quota” della dotazione nazionale degli aiuti diretti alla gestione del rischio di catastrofi e ha invitato a tutelare le piccole aziende (meno di 2mila euro di aiuti l’anno) in caso di necessità di prelievo degli aiuti in situazioni di crisi. Secondo la Coalizione #CambiamoAgricoltura quella assunta dalla ministra nella riunione del Consiglio europeo AgriFish “è una posizione arretrata, ostile al cambiamento dei modelli produttivi della nostra agricoltura ed avversa ad una seria conversione ecologica coerente con gli obiettivi delle Strategie Ue”.

LA PRESSIONE DELLE LOBBIES – Ma mettere d’accordo tutti, lo sa bene la ministra, non è una sfida semplice. Soprattutto per le pressioni delle lobbies. Lo ha denunciato una settimana fa la ong ‘Corporate Europe Observatory’, in un rapporto che rivela come da mesi la potente lobby dell’agrobusiness Copa-Cogeca, accanto alla quale si sono schierati l’industria dei pesticidi e i grandi big di quella alimentare, stia cercando di evitare che la Pac si allinei agli obiettivi del Green Deal. Questo perché, nel corso degli anni, le cooperative di agricoltori che fanno parte del Copa-Cogeca hanno prosperato vendendo fertilizzanti e pesticidi agli agricoltori. Il loro obiettivo ora è quello di indebolire la portata trasformativa della strategia ‘Farm to Fork’ e la transizione ecosostenibile tanto voluta da Ursula von der Leyen. Per comprendere poi, il ruolo della Germania (storicamente secondo beneficiario dei sussidi dopo la Francia, seguito da Spagna e Italia) in questa partita basti pensare alla lettera inviata alla Commissione e scritta da Bayer-Monsanto a marzo 2020, in piena emergenza Coronavirus, nell’ambito della consultazione pubblica sulla strategia ‘Farm to Fork’ che avrebbe potuto rappresentare, secondo il colosso ‘ostacoli agli scambi’ che priveranno paesi dell’Africa e dell’America Latina di ‘opportunità di sviluppo economico e sostenibilità ambientale’. Ma anche alla più recente reazione alla presentazione della strategia: “Ci obbligherà a reinventarci totalmente”. Per mantenere inalterata la politica agricola comune, nonostante i problemi di inefficienza e le denunce di corruzione del passato, secondo la ong le lobbies si sarebbero mosse su più fronti, chiedendo valutazioni di impatto e cercando di fare pressione, attraverso le divisioni nazionali, sui propri eurodeputati di riferimento.

SI FA PRESTO A DIRE HAMBURGER – E poi c’è un’altra questione che in queste ore sta dividendo l’Europa, che si trova davanti a un bivio: riservare il nome hamburger (ma anche salame, mortadella, salsiccia) ai soli prodotti a base di carne, vietandone l’uso per gli alimenti a base vegetale che da qualche anno hanno iniziato ad affollare gli scaffali dei supermercati, oppure lasciare tutto così com’è. Oggi, infatti, l’uso di denominazioni come prosciutto e carpaccio è consentita anche per prodotti a base vegetale. La Francia ha già vietato questa pratica e disposizioni simili a livello Ue esistono già per i prodotti lattiero-caseari, con la Corte di Giustizia che ha chiarito che nomi come ‘latte’ e ‘burro’ non possono essere usati per preparati di soia e tofu. Tra i diversi emendamenti al voto sul tema ‘vegetale’ tre sono quelli su cui si è concentrata l’attenzione. Il primo prevede la tutela delle denominazioni, vietando ad esempio di chiamare hamburger un prodotto esclusivamente vegetale. Il secondo prevede il mantenimento dello status quo (ma indicando accanto al nome del prodotto la sua naturale ‘vegetale’). Il terzo, infine, sostenuto dal Ppe, prevede di ammettere solo l’uso di termini come hamburger e salsiccia per prodotti vegetali mentre riserverebbe ai prodotti a base di carne denominazioni quali prosciutto e salame.

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Gentili (Legambiente): “Basta incentivi a pioggia, le risorse Ue si concentrino sulla transizione verso un’agricoltura sostenibile”

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