Non si placa ma anzi si accende oltre la ragionevolezza il dibattito sull’uso dei prestiti del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Che non ci cambieranno la vita, ne in un senso ne nell’altro. Ricapitoliamo le cifre in gioco. La disponibilità massima per l’Italia di fondi Mes destinata a scopi sanitari legati all’emergenza Covid è di 36 miliardi di euro. Prestiti che se richiesti aumentano il debito pubblico allo stesso modo dei titoli di Stato. Il tasso a cui vengono concessi questi prestiti è sostanzialmente zero, per una durata di 10 anni. Oggi per finanziarsi sui mercati emettendo titoli di Btp a 10 anni l’Italia paga poco meno dello 0,7%, gli interessi più bassi di sempre. Quindi se raccogliesse i 36 miliardi emettendo Btp, pagherebbe 250 milioni l’anno in interessi. Questo il risparmio che garantirebbe il ricorso al Mes.
Basta un aumento degli interessi dello 0,1% per azzerare i benefici – Il condizionale è utile, perché esiste quello che viene definito “effetto stigma”, ossia il fatto che il ricorso ad un aiuto “esterno” venga visto dai mercati come un segno di debolezza e pertanto gli investitori chiedano qualcosa di più in termini di interessi per prestare i loro soldi. Oggi l’Italia ha sul mercato titoli di Stato per 2.100 miliardi di euro su cui paghiamo un interesse medio dello 0,79% (ci sono anche titoli che sono stati emessi quando i rendimenti erano più alti). La durata media di questi bond è di poco meno di 7 anni. Significa che in media, ogni anno, Btp per 300 miliardi di euro arrivano a scadenza e vanno rimborsati.
Per farlo il Tesoro emette nuovi titoli per uguale ammontare. Basta però un piccolissimo incremento sugli interessi pagati in media sui nuovi titoli emessi per azzerare completamente il risparmio teoricamente garantito dal Mes. Un ritocco dello 0,1% sugli interessi medi (da 0,79 a 0,89%) sarebbe più che sufficiente per annullare completamente i benefici del prestito. Come ha ricordato ancora oggi il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (e come è specificato sul sito del fondo) i prestiti Mes sono concepiti principalmente per fornire una linea di credito alternativa agli Stati, qualora le condizioni sui mercati dovessero farsi più penalizzanti. La stessa presenza di questa “opzione B” dovrebbe contribuire a mantenere bassi i tassi sul mercato.
Anche il MES ha il suo stigma – Massimo Bordignon, docente della Cattolica di Milano ricorda come linee di credito precauzionali (ossia a cui ricorrere quando le condizioni sui mercati si fanno difficili) sul modello di quelle del Mes, esistano da tempo e in varia forma. Il Fondo monetario internazionale eroga ad esempio finanziamenti con caratteristiche simili. Eppure molto raramente i paesi vi fanno ricorso, proprio per questo timore di mostrare una situazione di debolezza. C’è poi una questione più politico-giuridica che il professore mette in luce. Il Mes non gode di una buona reputazione, soprattutto dopo quello che ha fatto in Grecia. Ed è un soggetto che si pone fuori dal quadro giuridico UE. Ricorrere al suo aiuto porta inevitabilmente con se l’impressione di una cessione di sovranità più o meno consistente. Diverso è il caso dei prestiti che provengono dalla Commissione Ue, che è organo sovranazionale di cui tutti gli Stati membri sono partecipi. Questo spiega anche perché dodici paesi, tra cui l’Italia, non abbiano avuto esitazioni a ricorrere ai finanziamenti SURE della Commissione, destinati a finanziare la cassa integrazione nei singoli stati. “La mia previsione, conclude Bordignon, è che se ci sarà bisogno di ricorrervi i fondi Mes verranno chiesti quando ci sarà un accordo preventivo tra più paesi per il loro utilizzo”
L’effetto stigma rimane in ogni caso un’ incognita. Non è detto che i mercati reagiscano negativamente. Alcuni giorni fa il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco ha ammesso che un pericolo esiste, aggiungendo però che può essere scongiurato con una corretta comunicazione. Alberto Gallo, responsabile dell’ufficio studi e gestore del gruppo Algebris, ritiene che di pericoli non ce ne siano. “I mercati guarderebbero semplicemente al fatto che il paese si finanzia a tassi ancora più bassi, quindi gravando meno sui conti pubblici. Poco importa da chi si prendono i soldi, importa soprattutto il come”, spiega Gallo. Mes o non mes, il gestore ritiene comunque che l’Italia dovrebbe approfittare di questo momento in cui le condizioni di accesso ai mercati sono favorevoli come non lo sono mai state. E avvisa, “i tassi sono bassi anche perché l’inflazione in questo momento è inesistente. Ma non è detto che questa condizione duri. Non eccessivamente ma lo spread potrebbe tornare a salire”