Un raid aereo su una moschea ha fatto strage di bambini nell’est dell’Afghanistan, nel villaggio di Hazara Qisshlaq, nella provincia di Takhar. Non è ancora noto chi sia il responsabile dell’offensiva in un’area contesa tra forze governative e Taliban, ma secondo quanto ha comunicato il portavoce del governatore della provincia, Jawad Hijri, sono 12 i piccoli che stavano studiando nell’edificio uccisi nel bombardamento, mentre altri 14 sono rimasti feriti.

Un attacco, quest’ultimo, che rappresenta solo l’ultimo episodio dopo due settimane di nuovi scontri in diverse province del Paese, in particolar modo in quella meridionale di Helmand, controllata dagli Studenti coranici. Quella di oggi appare come una risposta all’ultimo attacco Taliban che ieri a Masjed-s-Safid, nella stessa zona, hanno ucciso 40 soldati locali, tra cui membri della polizia e delle forze speciali dell’esercito, compreso il vice capo della polizia della provincia di Takhar, Raaz Mohammad Doar Andish.

La violenza riesplosa nel Paese non accenna a placarsi, nonostante la delegazione del gruppo islamista e quella del governo stiano portando avanti gli storici colloqui di pace a Doha, dove si trova la sede estera del gruppo estremista. Sono dodici giorni, ormai, che le forze governative e i miliziani si stanno scontrando nella provincia meridionale di Helmand, in gran parte controllata dagli uomini dell’Amir al-Mu’minin, la guida spirituale del gruppo Hibatullah Akhundzada, con al momento 35mila persone sfollate: “Dall’11 ottobre abbiamo ricoverato 118 pazienti e stiamo lavorando senza sosta per curare chiunque arrivi nel nostro ospedale. Rimaniamo aperti e siamo pronti a far fronte a questa emergenza”, ha fatto sapere Emergency che fornisce aggiornamenti quasi quotidiani sulla situazione.

Nonostante gli appelli internazionali per il cessate il fuoco, il conflitto ha ormai raggiunto la città di Lashkar Gah, con combattimenti nel vicino villaggio di Bolan. Scontri si sono verificati anche nelle province di Badakhshan, Kunduz, Farah e Kandahar.

“I talebani devono tener fede ai loro impegni, ridurre significativamente i livelli di violenza, e spianare la strada a un cessate il fuoco – ha dichiarato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg – Devono rompere tutti i legami con al-Qaeda e altri gruppi terroristici internazionali. E devono negoziare in buona fede. Quando le condizioni saranno soddisfatte, allora ce ne andremo insieme, ma non prima”.

Parole che seguono l’annuncio del presidente americano, Donald Trump, che in piena campagna elettorale in vista delle presidenziali del 3 novembre ha annunciato, a inizio ottobre, il ritiro completo delle truppe americane, sono circa 4.500 quelle di stanza attualmente nel Paese, entro Natale. Dichiarazione che gli sono valse, più che un sostegno interno tangibile, l’endorsement degli stessi Taliban che si sono pubblicamente augurati una riconferma del tycoon alla Casa Bianca.

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