di Paolo Bagnoli

La formula della “rivoluzione liberale” torna sulle pagine dei giornali. Questa volta ad adoprarla è Matteo Salvini che della sua origine e valenza storica, non c’è da stupirsi, non sa né mai deve aver saputo niente e al quale, molto probabilmente Piero Gobetti ricorda solo il nome di qualche strada. In un’intervista al Corriere della Sera (8 ottobre 2020) ha confessato di averla appresa dall’ex-presidente del Senato Marcello Pera, le cui idee ha definito “stimolanti”. Ma, da quanto si capisce, sembra che Gobetti, vale a dire la sua intenzione storico-politica, sia stata tenuta fuori dalla porta. Condivide “l’idea della necessità di una rivoluzione liberale” poiché c’è “bisogno di liberare energie, di sfruttare le potenzialità degli italiani”. Bontà sua, ha anche ammesso di non pretendere “di essere da solo in questo impegno” e, infatti, sta lavorando anche con Fratelli d’Italia.

E vai. Non è certo la prima volta che la formula gobettiana viene adoprata nella quotidianità politica per far capire quanto non si sappia in effetti cosa dire; certamente, non per affermare il significato di una cultura politica di origine gobettiana. L’aveva già usata Massimo D’Alema e anche Silvio Berlusconi; è proprio vero che non c’è due senza tre. Essa è suggestiva e di nobili origini, ma ha una sostanza storico-politica ben precisa che nessuno dei tre ha mai neppure sfiorato. Sicuramente, torna bene a una politica senza idee e pure senza una concezione precisa dell’Italia, per cercare di agganciare un qualcosa di grosso e coprire un vuoto abissale, ma crediamo che non sia un’operazione lecita perché occorre serietà e rispetto e, soprattutto, prima di parlare, occorrerebbe sapere di cosa si parla. E poi scomodare addirittura Piero Gobetti è assai impegnativo. La politica presuppone una cultura politica e proprio l’assenza di questa è anche causa del perché manchi la politica da tempo, troppo tempo, ridotta a solo governismo.

La Prima Repubblica aveva partiti che erano espressione di culture politiche che alimentavano la lotta politica democratica; archiviare quelle culture – è stato l’impegno primario del grillismo – ha significato, per esempio, non solo cancellare la categoria storica della sinistra cui ha contribuito, peraltro, anche l’operazione che ha generato il Pd. Tuttavia, togliere l’anima alla democrazia repubblicana, negare il valore e la portata dei corpi intermedi, ha significato abbandonare il paese al populismo di cui Salvini è probante e spericolata espressione. È stato quanto ha permesso l’affermazione inaspettata, nel 2018, dei 5Stelle ora giunti al redde rationem con se stessi. Gli unici che hanno mantenuto un filo di collegamento con le loro origini sono i Fratelli d’Italia, espressione della pervicacia nazionalista di una certa destra. Che questa voglia aderire alla rivoluzione liberale in salsa salviniana – ma si tratta di un logicismo, potremmo dire – ci sembra assai improbabile.

La verità è che non ci sono idee vere a giro e una democrazia senza idee vivacchia, quando va bene; si inaridisce quando va meno bene. In ogni caso, per favore, lasciamo stare Gobetti anche se ci piacerebbe e sarebbe significativo se la sua riflessione fosse da motore per attivare un pensiero compiuto sulla crisi italiana.

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