“Stiamo combattendo in prima linea, con qualche difesa in più rispetto a marzo, ma senza un comando sopra che ci dia indicazioni precise”. Irven Mussi è un medico di famiglia che lavora in uno studio della periferia milanese. Il suo telefono non smette mai di squillare. Sono i pazienti che chiedono consigli e informazioni dopo essersi scontrati con le difficoltà di parlare con i numeri istituzionali.
Il racconto dei medici di base milanesi è la prova del fallimento del sistema di tracciamento, che non ha retto all’impennata dei contagi. “Ogni giorno riceviamo 80-100 chiamate da parte di persone che hanno bisogno di un consulto medico o psicologico” spiega Anna Pozzi, che è anche segretaria di federazione dei medici di medicina generale di Milano. Fuori dal suo studio a Pioltello, nell’hinterland milanese, c’è una fila di gente che aspetta il proprio turno. A darle una mano c’è il dottor Francesco Avarello. Si è laureato il 16 ottobre 2019 e come tanti suoi compagni di corso si è messo subito a disposizione per sopperire alla carenza di medici dovuta “non solo alle morti da Covid, ma anche a diversi che hanno anticipato la pensione”.
E così si è ritrovato subito in prima linea a visitare i pazienti e rispondere alle loro telefonate. “Ci continuano a dire che l’Ats non li chiama, ci chiedono che cosa devono fare e ne soffrono”. Il sistema di tracciamento di Milano non ha retto. Lo ha ammesso la stessa Ats il 19 di ottobre: “Non riusciamo più a tracciare tutti i contagi”. Il rischio è dunque di non riuscire a individuarli e a “tenerli in ostaggio – spiega il dottor Maurizio Magnani – perché non vengono mai richiamati per fare il tampone di guarigione”. Ogni settimana spedisce una newsletter ai suoi 1450 pazienti per aggiornarli delle nuove direttive evitando così di intasare il centralino.
L’obiettivo adesso è quello di provare a contenere la diffusione del virus nella metropoli: “Nelle periferie, dobbiamo tracciare e isolare – conclude il dottor Mussi – solo chi ha una mega casa può isolarsi come Briatore con la Santanchè, ma tutti gli altri spesso vivono in tanti in due stanze con un bagno solo. Servirebbe avere fin da subito gli hotel per isolare i positivi, ma al momento non ci sono ancora”.