Ogni happening cultural/chic è tempo “scippato” alle minacce di clausura forzata. Il complesso di San Domenico Maggiore è monumentale, arioso e, soprattutto non ci sono assembramenti se non di oggetti di Edit, seconda edizione. Il loro display nell’antico refrettorio dalle pareti affrescati è splendido. Sembrano quadri la carta da parati realizzata da Allegra Hicks in sinergia con i mam, maestri d’arte e mestiere, della Fabscarte che utilizza ancora tecniche pittoriche antiche, sfumature che vanno dal verde rame agli impalpabili azzurri, superficie increspata, ondulata e motivi geometrici che sembrano usciti da una pennellata del cubista Fernand Léger.
Maestri di bellezza e di stupore: Victoria Episcopo ha scelto di portare il cognome della nonna artista anziché usare quello principesco di nascita Pignatelli. Tutto in laboratorio, forature fatte con trapani per le sue grandi abat-jour dove gioca con i materiali “poveri” ma il ferro lucidato ha striature
che lo fanno sembrare argento, al rame aggiunge una miscela che gli da una patina d’oro antico. Lo specchio che specchia se stesso….è un oggetto da psicanalisi. E dall’inconscio di Victoria riaffiorano gli oggetti disegnati dalla nonna
La torinese Marisa Coppiano, l’Arciboldo del wallpaper, realizza con finezza anche piatti ispirati a frutta e verdura: prende una cipolla, la viviseziona, mostra tutti i suoi strati e ne fa uno still life contemporaneo.
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Norme anti-covid: in quanti possiamo sederci a tavola, ecco che l’arredo simbolo della condivisone e della convivialità ripensa la sua funzionalità e l’artista Anna Fresa fa il tavolo scomponibile con rifiniture laccate blu. La sua serie Ipazia nasce da una vera ossessione: il cielo. In fondo tutte le domande e le risposte sono lì. Ed eccoli i suoi oggetti che si ispirano alle orbite ellittiche.
Perfetta sinergia fra il designer/artigiano e l’azienda ( non l’industria) che lo rende realtà, questo il credo di Luisa Longo, diplomata all’Ecole du Louvre, lei si ritiene un’artista tessile, ha esposto alla Biennale di Venezia e nella sala settecentesca del Gran Consiglio presenta in anteprima la sua Lightscape collection.
Ogni pezzo è un unicum della collezione “Movimenti” ( vasi, lampade e altro) realizzata dalla Cooperativa Artieri Alabastro che nasce nel 1895 a Volterra, in provincia di Pisa. Il nome “Artieri” si deve a Gabriele D’Annunzio e negli anni ’30 del Novecento, diventano la più importante manifattura del Decò italiano.
La chicca: si chiamano “Ballerine”, sono vasi “danzanti” nel senso che ondulano da un verso all’altro offrendo una diversa percezione dell’oggetto. Design Studio Zero.
Il Maestro Calatrava. Il PortaBabà ( per salvare l’ultima goccia di liquore senza sbrodolarselo addosso) in ceramica, porta la firma di Walter Luca de Bartolomeis, direttore dell’istituto Caselli De Sanctis, che nasce da una costola della Real Fabbrica di Capodimonte. Sua l’idea di aver invitato Santiago Calatrava, un’autorità mondiale nel design, a tenere un seminario in loco. Sono rapita dal bello-e-ben-fatto. Qui è l’artigiano che va dal brand e dice me lo realizzi: pezzo unico o edizione limitatissima. In bottega l’Italia da il meglio di sé. Chi la vuole più la paccottiglia seriale, plasticosa e inquinante made in Cina, cha ha invaso il mercato globale. La Cina dopo aver contagiato con la “bestiaccia” Covid è l’unico paese al mondo con il pil in crescita del 4, 6%.
Gli altri paesi sono alla canna del gas.
Chi vuole più vestirsi di stracci low cost e high profit per chi li produce su navi/fabbriche che navigano in acque extra-territoriali, sfruttamento al massimo di mano d’opera, anche di minori, a zero gettito fiscale.
Si chiama decrescita felice, tradotto produrre meno, consumare meglio.
Difendiamo e compriamo l’alto artigianato.