Non è stato provato che la Fondazione Open agisse come un’articolazione di partito. Un’equiparazione che invece il tribunale del riesame di Firenze ha “dato per scontata“, contestando di conseguenza il reato di finanziamento illecito ai partiti in merito ad alcuni versamenti effettuati a favore della stessa fondazione. E’ quanto sostenuto dai giudici della Cassazione, nelle motivazioni con cui il 15 settembre scorso hanno annullato con rinvio il provvedimento del Riesame che aveva respinto il ricorso dei legali di Marco Carrai.
L’imprenditore storicamente molto vicino a Matteo Renzi ha fatto ricorso contro il sequestro di documenti e pc. Il provvedimento emesso dal tribunale del Riesame di Firenze il 19 dicembre 2019 era stato annullato con rinvio per nuovo esame dagli ermellini della Sesta sezione penale. Al centro dell’indagine ci sono i finanziamenti di una serie di imprenditori alla fondazione che fungeva da cassaforte del Giglio magico ai tempi in cui Renzi era al vertice della sua parabola politica.
Dalle motivazioni si scopre che gli ermellini della sesta sezione penale della Cassazione hanno accolto la maggior parte dei i rilievi avanzati nel ricorso dagli avvocati Filippo Cei e Massimo Dinoia, difensori di Carrai. Il Riesame, sostengono i giudici della Cassazione, “aveva ritenuto che la Fondazione Open costituisse articolazione di partito” in ragione del fatto “che la stessa aveva contribuito ad alcune spese riguardanti iniziative riferibili a un partito e aveva corrisposto somme di denaro in favore di un partito o di suoi parlamentati”.
“A fronte di ciò è stato eccepito dalla difesa che è mancata l’analisi del tema e che comunque la nozione di articolazione politico-organizzativa postulerebbe un’inclusione statutaria e formale della struttura nell’operatività del partito e che per contro non potrebbe stabilirsi un’equiparazione con una fondazione politica, dovendosi al riguardo considerare i limiti dell’equiparazione normativamente stabilita tra partiti e fondazioni politiche e comunque la sopravvenienza, per effetto della legge 3 del 2019 di una più marcata equiparazione, non applicabile retroattivamente a fatti risalenti ad epoca anteriore”, scrivono gli ermellini. La legge citata è la Spazzacorrotti, che però non è applicabile – secondo i difensori di Carrai, ai quali i giudici danno ragione – retroattivamente.
Secondo quanto rilevato dai giudici della Suprema Corte, dunque, non è sufficiente che una fondazione contribuisca alle spese di alcuni parlamentari per considerarla alla stregua di un’articolazione di partito. Per poter effettuare questa equiparazione “è necessario non solo dar conto di erogazioni o contribuzioni in favore del partito rivenienti dall’ente formalmente esterno al partito, ma anche del fatto che la reale funzione di esso, al di là di quanto in apparenza desumibile dalla cornice statutaria, possa dirsi corrispondente a quella di uno strumento nelle mani del partito o di suoi esponenti, in assenza di una sua effettiva diversa operatività”.