“Le proroghe continue della carcerazione preventiva da parte dell’Egitto sono soltanto un tentativo di far dimenticare il caso. Reiteriamo la richiesta che Patrick Zaki venga rilasciato. Il governo deve cambiare atteggiamento e rapporti con il Cairo”. La denuncia arriva dai rappresentanti di Amnesty International, auditi in videoconferenza alla Commissione diritti umani del Senato sulla vicenda del ricercatore di 28 anni arrestato a febbraio (con l’accusa di propaganda sovversiva su Facebook, sovversione, incintamento a proteste illegali e non solo), dopo che è stato nuovamente respinto il ricorso degli avvocati contro il rinnovo della carcerazione.
Il portavoce dell’ong per l’Italia, Riccardo Noury, ha ricordato come il caso Zaki non sia isolato, di fronte alle continue e sistematiche violazioni dei diritti umani portate avanti dal regime di Al Sisi, chiedendo un intervento più deciso da parte dell’esecutivo: “La strategia di amicizia e condiscendenza, fondata sugli interessi economici e commerciali, non porta risultati, come hanno dimostrato sia il caso di Giulio Regeni, che quello di Patrick Zaki”, ha rivendicato Giulia Groppi, responsabile di Amnesty International per le relazioni istituzionali.
“Temiamo che le gravi accuse a carico di Zaki, che riteniamo infondate ma che possono portare anche a una condanna all’ergastolo, non siano oggetto di adeguate indagini e quindi manchi la volontà di rilasciarlo. Accuse spesso rivolte contro attivisti, giornalisti, intellettuali, avvocati che a decine si trovano nella sua stessa situazione”, ha continuato Noury.
Amnesty ha sottolineato come in Egitto la detenzione cautelare per legge possa essere rinnovata per un massimo di due anni, ma come la normativa sia spesso aggirata: “Oltre a tenere le persone in cella senza processo per tutto questo tempo, a volte il rinnovo del carcere preventivo si prolunga ulteriormente. E capita anche che, dopo un rilascio, vengano mosse altre accuse, con un meccanismo di porte girevoli”. Con la pandemia di Covid-19, poi, come ha ribadito Giulia Groppi, la situazione è peggiorata: “Adducendo motivi di sicurezza, le udienze vengono procrastinate e tenute a porte chiuse, così non possono assistere nemmeno i legali, tantomeno gli osservatori internazionali”. Secondo l’ong, quindi, l’unico obiettivo del Cairo è quello di far cadere il caso nell’oblio: “La detenzione preventiva è una punizione in sé, un modo affinché le persone nel Paese e fuori dal Paese si dimentichino di questa e altre vicende”.