L'INTERVISTA - Il direttore scientifico del centro di ricerca e cura per le malattie infettive di Roma: "Anche in caso di apparente eliminazione, la sorveglianza dovrà essere mantenuta poiché una recrudescenza del contagio potrebbe essere possibile entro il 2024. Ma noi non siamo ancora fuori dalla fase pandemica"
Con oltre 40 milioni di contagiati nel mondo, superata la soglia di un milione e 100mila morti e con alcuni paesi che stanno scegliendo di istituire nuovi lockdown o il coprifuoco notturno come la Lombardia e la Campania, l’attesa per l’annuncio di una terapia o un vaccino, che possano rispettivamente curare o prevenire Covid 19, continua a crescere. Ma i tempi, benché compressi grazie a un inedito fiume di denaro alla ricerca e un po’ meno inedito alle case farmaceutiche, non possono essere annullati. Basti pensare che per lo sviluppo di un vaccino possono essere necessari anche anni e che quando avremo un composto profilattico sicuro ed efficace dovrà essere somministrato a una platea vastissima. Un’operazione non banale, se pensiamo che la campagna antinfluenzale in Italia, resa ancora più necessaria e importante a causa della pandemia, è ancora a rischio per ritardi, negligenze e anche bandi sbagliati.
Ora con impressi negli occhi il numero di contagi degli ultimi giorni, in un “clima di sconforto”, le notizie su progressi delle sperimentazioni e anche gli annunci si moltiplicano. Lo sviluppo di uno o più vaccini, nella speranza che la copertura sia la più alta possibile, sarà solo l’inizio di un percorso che potrà arginare e magari soffocare definitivamente la pandemia. Ci potrebbero volere anni. Abbiamo chiesto al professor Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani di Roma centro di ricerca e cura per le malattie infettive, cosa dobbiamo aspettarci.
Una volta ottenuto un vaccino sicuro, efficace e approvato quanto tempo ci vorrà per organizzare la campagna vaccinale?
L’organizzazione di una campagna vaccinale costituisce un grande impegno per un Paese e non è facile prevedere i tempi. Sicuramente possiamo far tesoro dell’esperienza di altri Paesi. Negli Usa alla fine di settembre 2020 sia Anthony S. Fauci, lo scienziato più esperto e famoso nel mondo per le malattie infettive, che Stephen Hahn, direttore della Food and Drug Administration, hanno dichiarato che un vaccino potrebbe essere disponibile per determinati gruppi prima che gli studi clinici siano stati completati, se i dati risulteranno positivi. Queste preoccupazioni facevano seguito alle dichiarazioni del presidente Donald Trump circa la distribuzione di un vaccino. Siamo a fine ottobre e non sembra questo sia realizzabile. Allo stesso tempo sottolineavano che vaccinare milioni di persone sarà uno sforzo enorme e proprio per questo bisogna prepararsi. Ci sono grandi problemi logistici e organizzativi sia per la distribuzione di vaccini che devono essere conservati a temperature sotto lo zero che per la somministrazione prima ai gruppi ad alto rischio, agli operatori sanitari, a chi gestisce servizi essenziali.
E quindi quanto tempo servirà per essere fuori dalla fase emergenziale della pandemia?
Le sue domande si fanno sempre più difficili non avendo io palle di vetro e non essendo mago merlino. Qualche mese fa il gruppo di epidemiologi di Harvard a Boston, guidato da Marc Lipsitch, ha sviluppato un modello della dinamica di Sars Cov 2 in un periodo post-pandemico, basato su stime di stagionalità, immunità e immunità crociata per altri betacoronavirus. Lo hanno pubblicato sulla prestigiosissima rivista Science. Se non ricordo male diceva più o meno che dopo l’ondata pandemica iniziale si sarebbero potute verificare epidemie ricorrenti durante l’inverno e che anche nel 2022 potrebbe essere necessario applicare misure di distanziamento sociale per evitare l’eccessiva pressione sulle terapie intensive. Anche in caso di apparente eliminazione, la sorveglianza dovrà essere mantenuta poiché una recrudescenza del contagio potrebbe essere possibile entro il 2024. Ma noi non siamo ancora fuori dalla fase pandemica.
Perché sia efficace la campagna quante persone in percentuale devono essere vaccinate?
Proprio questo mese l’american Journal of Preventive Medicine ha pubblicato un illuminante lavoro scientifico di un gruppo di ricerca americano che include Sarah Bartsch e Bruce Lee della Scuola di sanità pubblica di New York City. Questo studio stima che in assenza di altri interventi per prevenire un’epidemia, il vaccino deve avere un efficacia (cioè probabilità di prevenire l’infezione) di almeno il 70% quando la vaccinazione copre almeno il 75% della popolazione. Per estinguere un’epidemia in corso e evitare la necessità di altre misure (ad esempio il distanziamento sociale), il vaccino dovrebbe avere un’efficacia di almeno 80% con una copertura vaccinale del 75%. Questi livelli di efficacia e soglie di copertura rimangono in quanto la percentuale della popolazione esposta aumenta dal 5% al 30%, a quel punto il picco dell’epidemia si avvicina rapidamente e più persone diventano esposte e immuni. Raggiungere una copertura del 75% non è banale. È necessario avere persone disponibili ad essere vaccinate, ci dovrebbe essere una adeguata capacità di produzione, e personale per somministrarlo.
Anche lo Spallanzani ha una sperimentazione in corso su un candidato vaccino. Come procede?
Ne parleremo solo dopo il 24 marzo 2021. Quando sarà completata.