Eccoli. Dopo tanto parlarne arrivano in Italia i primi vini cinesi. Importati dal Gruppo Meregalli, sono quattro etichette di Château Changyu Moser XV, una joint venture tra l’enologo Lenz Moser, della famiglia produttrice austriaca, e Changyu Pioneer, principale gruppo produttore cinese per quantità, con possedimenti in tutto il paese.
Come sono i vini cinesi? Ne abbiamo bisogno? Leggo in alcuni commenti.
La Cina è già il nono produttore al mondo, e i vini sono ormai tanti e diversi (ne ho scritto in questo libro ‘In Cina, vino, società e costumi’, Infinito Edizioni). Ho assaggiato le bottiglie dello Château qualche anno fa, ma etichette destinate al mercato locale, non queste che invece fanno da apripista in Italia: quattro Cabernet Sauvignon, due bianchi e due rossi, dal vitigno più diffuso in Cina (è possibile produrre vini bianchi da uve nere se non si lascia a lungo il mosto a contatto con le bucce, che danno colore al vino).
Arrivano dal distretto di Helan Mountain in Ningxia, regione promossa dal governo come cuore della produzione di vini di qualità. Siamo nel centro del paese, in un’area desertica protetta dalla catena montuosa a ovest; il clima è continentale, con inverni rigidi e precipitazioni scarse (180/200mm/anno), alta escursione diurna e ottima esposizione al sole. Grazie anche a importanti finanziamenti, la provincia si è sviluppata molto negli ultimi vent’anni e sono oggi circa 130 le cantine presenti, alcune più piccole, altre costruite sul modello degli châteaux francesi, come Changyu Moser XV appunto, fondata nel 2013 con un investimento pari a 70 milioni di euro, per la costruzione della struttura e dell’ ‘artiglieria’, ovvero macchinari (‘tutti ad altissima tecnologia’) e dotazioni varie, tra cui una linea del fronte da 1.500 barrique.
Il primo bianco, Helan Mountain white, è descritto con aromi di pompelmo, agrumi, frutta esotica, un’acidità che nel 2018 ha raggiunto i 5,8 g/L ; non fa passaggi in legno ma solo acciaio, così come l’Helan Mountain red, il rosso della stessa linea, con prezzi che in enoteca saranno sui 17 euro. L’altro bianco invece botte la fa e viene sottolineato nella presentazione: Moser Family, ‘primo e unico Cabernet Sauvignon Blanc de Noir al mondo affinato in barrique francesi’; 200mila bottiglie prodotte, prezzo in enoteca 50/60 euro; ‘very commercial I would have thought – si legge ancora nella scheda relativa, che in perfetto stile cinese rassicura i distributori che scommetteranno su quel vino – Designed for the on trade. Mouthful of venosity. Well done!’.
E per finire il vino di punta, Purple Air Comes From The Est, invecchiato per 24 mesi in cinque tipi diversi di botti nuove francesi, descritto con i classici aromi che contraddistungono i premium wines del mondo a base Cabernet, ‘profumi intensi e complessi di frutti rossi e neri, con sentori di cedro, tabacco e un caldo tocco di vaniglia dal delicato passaggio in legno, il tutto in perfetta armonia’. Un vino che andrà oltre i 200 euro e che si piazza quindi sulla stessa fascia dell’altro vino-molto-costoso cinese, Ao Yun prodotto da LVMH in Yunnan, provincia meridionale che sta diventando sempre più interessante per la produzione. Farò un post su come alcuni vini raggiungono certi prezzi.
Abbiamo bisogno dei vini cinesi? È l’altra domanda. La giornalista Renata Pisu, nel libro ‘Cina, il drago rampante’, individua ‘due approcci dell’Occidente: ingenuità filocinese o prevenzione anticinese’; una Cina vista come ‘inferno o paradiso’, tra senso di curiosità, volontà di fare affari con il paese a qualsiasi condizione (che qualcuno si ricorda soltanto a comodo) e diffidenza estrema. La Cina è passata dai 2 milioni di ettolitri di vino prodotti nel 1986 agli 11 milioni nel 2015 e ha possibilità – terreni e mezzi – di crescere molto, sia in quantità che in qualità. Sono di questa settimana i dati della ripresa del Pil al +4,9% nel terzo trimestre su base annua, numeri di un’economia che sembra già fuori da molti problemi.
‘Bisogno’ di vino cinese non ne abbiamo. Di buoni vini e bravi produttori in Italia ce ne sono. Ma è anche vero che, di bisogno reale, non ne abbiamo del 95% (stretta?) di quello che troviamo sul mercato, italiano o straniero che sia.
Come ci dice Pisu, ci sarà chi adulerà vini e produttori, a prescindere dalla qualità, per interesse o ‘ingenuità’, e chi li respingerà senza neanche provarli. Ma il ‘vino cinese’ non è una stravaganza di qualche produttore isolato, e ne sentiremo parlare anche in Italia.