Un film piccolo piccolo. Fatto di malattia, di fratellanza, di paura della morte e di sogni ad occhi semichiusi. Il particolare caso di Bruno Salvati (Kim Rossi Stuart) che grazie ad una fortuita sportellata sul naso, e relativo copioso sanguinamento, scopre di essere affetto da una forma aggressiva di leucemia che richiede un trapianto di midollo. Autobiopic di Francesco Bruni, qui regista e sceneggiatore (con Rossi Stuart alle sfumature del personaggio), già fortunato papà di Scialla! e Noi quattro, che non indugia nel vortice del dramma, ma vuole, come da suo approccio consueto al sorriso e ai rapporti umani, una mescolanza di chiaroscuri dell’anima sintetizzati sempre e comunque nell’happy end.
Bruni scompone e ricompone il puzzle temporale della diagnosi, della degenza e dell’intervento ospedaliero, partendo da tre quattro punti macchina attorno alla rasatura a zero di Bruno, seduto davanti alla finestra (che non si può aprire) della stanza d’ospedale. Ovvero il protagonista è nudo: travolto, sconvolto, rivoltato dalla malattia. Cosa sarà, che prima del lockdown di marzo 2020 doveva intitolarsi Andrà tutto bene, è soprattutto un incontro involontario ma totalizzante e universale con l’ipotesi di poter improvvisamente morire. Bruni abbozza uno schema casalingo, una ex moglie, due figli poco più che adolescenti, un padre riccastro e snob che gioca a golf; centrifuga i panni familiari nel bozzolo appartamento dove nonostante la separazione si ricompongono le linee tradizionali del nucleo d’origine; centellina e sfuma i dettagli che li lega aggrappandosi a un paio di rapidissimi e buffi flashback; fa mulinare in scena il piccolo drappello di comprimari in due, in tre, in quattro, in cinque, facendo infine entrare in scena la sorella mai conosciuta (Barbara Ronchi, vera e verace sorpresa del film) che rilancia il racconto in maniera inconsueta appena dopo la metà del minutaggio, aiutando Bruno nell’angoscioso ultimo passaggio del trapianto.
Poi, appunto nel vortice frammentario della ricomposizione del racconto ci sono le sequenze ospedaliere. Anche qui rimpicciolite, ristrette e costrette dentro la stanza in isolamento da virus e batteri della chemioterapia. Ed è qui che Bruni aggiunge le deviazioni oniriche, lampi del passato, allucinazioni miste a visioni, che si sciolgono dietro e dentro il taglio degli occhi “alla Leone” della protagoniste oltre le mascherine chirurgiche. Bruno si riflette e si aggrappa nei begli occhi di figlia (Fotinì Peluso), ex moglie (Lorenza Indovina) e sorella; rinasce e rivive guardando la luce nell’iride, guardando ed essendo riguardato. Questo l’elemento esteticamente più delicato e azzeccato di una comedy-drama gentile e sobria, sfiorata da una Roma e una Livorno autunnali, infine cucita addosso a Rossi Stuart, impegnato in un registro sopra le righe che non è propriamente il suo preferito e preferibile, ma che si dimena, si scuote, caracolla con una passione genuina e una fragilità corporea e maschile non di poco conto.
La sintesi della “risata” di un commediante e commediografo come Bruni (che ha sceneggiato una quantità impressionante di commedie italiane negli ultimi trent’anni da Ovosodo a Il 7 e l’8) è tutta nella sequenza in cui Bruno, di professione regista di film che appunto vedono in pochi, prova a impostare il dibattito post proiezione di un suo film in una sala con schermo gigante dell’ospedale. Lui emaciato, claudicante, con un filo di voce, tenta di intrattenere il pubblico. Davanti a lui i pazienti fasciati, stanchi, addormentati e perfino un vecchietto in barella moribondo che all’improvviso sembra non respirare più facendo scattare procedure d’urgenza e fuggire tutti i convenuti dalla sala. Cosa sarà l’abbiamo visto in una multisala, in mezzo a parecchi spettatori, mascherati come nel film, a poche ore dalla chiusura dei cinema dovute al nuovo Dpcm. Il pubblico un po’ di tutte le età si è divertito, ha riso in più punti senza esagerare ma convinto. Speriamo che questo piccolo piccolo film possa simboleggiare l’ultima estrema resistenza al maledetto virus, ma anche alla chiusura delle sale cinematografiche che incombe. Su quelle poltroncine, al buio con il faccione di Kim, gli occhi di Fotinì, Lorenza e Barbara si stava, nonostante il dramma, distaccati dal panico del mondo e serenamente a proprio agio.