Le ambizioni e l’interventismo della Turchia hanno un tallone d’Achille che si chiama lira. La valuta locale che continua a deprezzarsi, segnale terminale degli squilibri dell’economia di Ankara. Oggi la lira ha toccato un nuovo minimo storico: un dollaro si scambia con 8 lire, un euro con 9,5. Da inizio anno la flessione è di circa il 25%. Vari e di diversa natura i fattori che stanno spingendo di nuovo al ribasso la moneta turca. La scorsa settimana la banca centrale turca ha deciso di mantenere invariati i tassi di interesse al 10,25%, dopo averli aumentati un mese fa per la prima volta da due anni. I mercati si attendevano invece un nuovo ritocco che avrebbe aiutato a sostenere il cambio. Anche perché l’inflazione nel paese rimane sopra l’11%. La banca centrale, fortemente influenzata dal presidente Recep Tayyip Erdogan, esita ad alzare i tassi perché questo tenderebbe a frenare l’economia. La banca per ora ha fatto così ricorso alle sue riserve, ossia ha comprato lire con dollari per aumentare il valore della prima. In queste operazioni sono stati spesi negli ultimi 18 mesi 134 miliardi di dollari. Ora però le casse sono quasi vuote mentre la discesa della lira non si arresta.
Poi ci sono le tensioni geopolitiche “montate” negli ultimi giorni. Turchia e Francia sono ai ferri corti, ieri Parigi ha richiamato il suo ambasciatore dopo che Recep Tayyip Erdogan ha messo in dubbio la salute mentale del presidente francese Emmanuel Macron, visto il suo atteggiamento nei confronti dei musulmani. “La Francia – ha scritto l’Eliseo a una settimana dalla decapitazione del professor Samuel Paty da parte di un islamista per una lezione sulla libertà d’espressione – nota fra l’altro l’assenza di messaggi di condoglianze e di sostegno del presidente turco dopo l’assassinio di Samuel Paty”. La presidenza francese nota anche le “dichiarazioni molto offensive di questi ultimi giorni” da parte del presidente turco, “in particolare riguardo l’appello al boicottaggio dei prodotti francesi“. Poco prima, in un discorso trasmesso in tv, Erdogan aveva detto: “tutto quello che si può dire di un capo di stato che tratta milioni di membri di comunità religiose diverse in questo modo, è di farsi fare esami di salute mentale“.
Scintille tra Parigi ed Ankara – L’attacco sboccato di Erdogan a Macron è il prodotto di tante linee di faglia che corrono tra i due paesi. Dalle schermaglie nel Mediterraneo con la Grecia, al confitto in Libia, passando dalle tensioni nel Karabakh. Parigi ha chiesto di nuovo, che la Turchia “metta fine alle sue sue pericolose avventure nel Mediterraneo e nella regione”, denunciando poi con forza il “comportamento irresponsabile” di Ankara nel Nagorno Karabakh. Ankara sta invece tentando di riprendere le sue esplorazioni navali nei pressi dell’isola greca di Kastellorizo appellandosi ad un’interpretazione del diritto internazionale che le darebbe diritto di accedere ai giacimenti presenti sotto quelle acque. Navi da guerra greche e turche incrociano a pochi kilometri di distanza tenendosi d’occhio. E ancora…la Turchia ha testato il sistema missilistico S-400 acquistato dalla Russia. Cosa, comprensibilmente, molto sgradita a Washington. Recep Tayyip Erdogan tira dritto: “È giusto che abbiamo fatto dei test, e continueremo a farne. L’approccio americano non ci vincola in alcun modo. La Grecia possiede già i sistemi (russi) S-300, li testano e li utilizzano. Per caso gli Stati Uniti dicono qualcosa al riguardo?”.
Un’economia malata e in peggioramento – Ankara ha molti fronti aperti ma rischia di avere sempre meno risorse per operarvi. Perché una lira che si indebolisce è un problema così grande per la Turchia? Fino al 2018 il paese ha tirato a se ingenti finanziamenti dall’estero. La Turchia era vista come una buona occasione di investimento in considerazione dei suoi tassi di crescita. Ma a spingere la crescita….erano proprio questi capitali. Più ci si indebitava con l’estero più il Pil cresceva. Come si intuisce questo è un gioco che non può durare all’infinito. Quando gli investitori hanno iniziato ad avere dubbi sulla sostenibilità di questi debiti e sul modo con cui l’economia viene gestita (la banca centrale agisce ad esempio in modo tutt’altro che indipendente dal governo) i rubinetti hanno iniziato a chiudersi e la crescita a rallentare. I prestiti che arrivano dall’esterno devono quasi sempre essere restituiti in valuta estera, dollari per lo più. Se la moneta locale si indebolisce, per le aziende che fanno ricavi principalmente sul mercato domestico, il peso del debito cresce e i profitti si riducono. La Turchia importa più di quanto esporta, nei primi otto mesi del 2020 beni per 137 miliardi di dollari a fronte di esportazioni per 112 miliardi. La bilancia commerciale è dunque, cronicamente, in rosso: meno 35 miliardi nel 2020. Elemento che pone ulteriore pressione sulla moneta e di emorragia di valuta straniera. L’economia insomma è in sofferenza e sinora le scommesse geopolitiche di Erdogan sono voci di spesa e di ritorni inesistenti. Non può durare in eterno.