La notizia rimbalza nascosta ma inoccultabile sui media di ogni Paese. Incredulità e disattenzione sembrano gli effetti cui si abbandonano in questi giorni gli opinionisti, i politici, perfino gli intellettuali, che in questo mondo civile hanno spesso dato per scontato che la vita e la sopravvivenza di intere popolazioni – o addirittura del genere umano – potessero essere esposti alla mancanza di controllo di pochi irresponsabili, disposti a risolvere con la forza nucleare più distruttiva le contese e i conflitti internazionali.

In fondo, dopo 75 anni, la nemesi di Hiroshima e Nagasaki ricade su chi ha cercato di interpretare sotto il profilo dell’annientamento la figura del nemico sconfitto. Forse solo così si spiega la mancanza di sollievo e la noncuranza con cui la maggior parte dei cittadini delle potenze nucleari del mondo o che ospitano sui loro territori ordigni atomici (è il caso dell’Italia) ha accolto una svolta storica sul piano legale, anche se non ancora conquistata su quello politico.

Dopo che il 7 luglio 2017, 122 paesi avevano votato in sede Onu a favore del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, il 24 ottobre 2020 il Tpan ha raggiunto i 50 Stati firmatari richiesti per la sua entrata in vigore, dopo che l’Honduras l’ha ratificato, appena un giorno dopo la Giamaica e Nauru.

Nel mondo, a partire dalla voce dei Paesi minori, sta succedendo qualcosa di nuovo e proprio quando la pandemia sembrerebbe sopire le grandi speranze. Sono milioni i cittadini – anche italiani – che si sono mobilitati per vietare le armi nucleari con una legge di validità internazionale e il ruolo della Campagna Internazionale per Abolire le Armi Nucleari, l’Ican, è stato decisivo. Tra 90 giorni, nonostante l’opposizione degli Stati Uniti, verrà ratificato il divieto categorico delle armi nucleari, oltre a quelle batteriologiche e chimiche.

Decenni di attivismo hanno raggiunto quello che molti hanno detto essere impossibile. Tutti e 50 gli Stati hanno dimostrato una vera determinazione, affrontando livelli di pressione senza precedenti da parte degli Stati armati nucleari per non aderire. Una recente lettera, resa pubblica solo pochi giorni prima della cerimonia, dimostra come l’amministrazione Trump abbia esercitato pressioni dirette sui 50 Stati, affinché si astengano dall’incoraggiare altri ad aderirvi.

Beatrice Finh, premio Nobel per la Pace, ha dichiarato: “I 50 paesi che ratificano questo Trattato stanno dimostrando una vera leadership nella definizione di una nuova norma internazionale secondo cui le armi nucleari non sono più solo immorali bensì totalmente illegali”.

Il trattato richiede che tutti i paesi che lo ratificano “mai in nessuna circostanza … sviluppino, testino, producano, fabbrichino e altrimenti acquisiscano, possiedano o accumulino armi nucleari o altri dispositivi esplosivi nucleari”. Vieta inoltre qualsiasi trasferimento o uso di armi nucleari o ordigni esplosivi nucleari – e la minaccia di utilizzare tali armi – e richiede alle parti di promuovere il trattato in altri paesi.

Purtroppo, il cammino reale è ancora lungo e insidioso, anche se la ratifica ha un significato storico e dirompente. Ci sono oltre 14.000 bombe nucleari nel mondo, migliaia delle quali sono pronte per essere lanciate in un istante e la potenza di molte di quelle testate è decine di volte maggiore delle armi sganciate su Nagasaki e Hiroshima. Nessuna potenza nucleare l’ha firmato, e solo 6 dei 49 stati europei hanno approvato e ratificato il trattato: Austria, Irlanda, Malta, San Marino Liechtenstein e lo Stato del Vaticano. L’Italia non ha firmato né ratificato il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, pur essendo uno dei cinque stati europei che ospitano testate nucleari statunitensi nell’ambito di accordi Nato presso le basi aeree di Aviano e di Ghedi.

Settantacinque anni e le lotte per la pace non sono passate invano. Ora abbiamo più chiara una visione delle interconnessioni che regolano non solo la sopravvivenza, ma anche l’orizzonte praticabile di una giustizia sociale e possiamo ancor meglio interpretare gli allarmi “romantici” con cui Albert Einstein, Bertrand Russell, Philip Morrison, Omar Bradley, Joseph Rotblat, cercavano di disinnescare il pericolo tutt’altro che irreale di un conflitto atomico.

Stiamo lasciando l’era nucleare per entrare, ci auguriamo, in quella solare. Per molti aspetti l’era solare oggi è al punto in cui si trovava l’era del carbone quando venne inventata la macchina a vapore. In quell’epoca il carbone era usato per riscaldare le abitazioni e per fondere materiale ferroso, mentre era appena agli inizi l’idea di usare motori a vapore alimentati a carbone per fornire energia alle fabbriche o ai sistemi dì trasporto.

Quando si considerano le tecnologie solari, gli attuali leader politici, ancora affascinati dal carbone e dall’energia nucleare, si comportano come gli scettici del XVIII secolo nei confronti del motore a vapore. L’era solare non può che coesistere con la pace e in tale contesto la connessione tra nucleare civile e militare ha continuato a rappresentare ancor oggi una contraddizione irrisolta.

Sappiamo quanto siano in atto tendenze ambientali che minacciano di alterare a fondo il pianeta e che mettono in pericolo la vita di molte specie che lo abitano, compreso l’uomo. Ogni anno nove milioni di ettari di suolo produttivo si trasformano in arido deserto; ogni anno vengono abbattuti oltre undici milioni di ettari di foreste, che equivarranno in un quarto di secolo a una superficie pari a quella dell’India. In un tempo che viene a mancare è di segno positivo lo slancio dei primi 50 Paesi per bandire il nucleare.

Ora tocca a noi, alla pressione che sapremo fare a cominciare dai nostri Comuni, le nostre Regioni, il nostro Governo. Nell’ultima enciclica “Fratelli Tutti” Francesco sembra anticipare l’avvenimento del 24 ottobre scorso, quando scrive: “Mai più la guerra! E che l’obiettivo finale dell’eliminazione totale delle armi nucleari diventi una sfida e sia un imperativo morale e umanitario. E con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per sconfiggere la fame e la povertà”. Basterà uno sforzo congiunto, non solo a sconfiggere il coronavirus, ma anche a non tornare più a come eravamo prima?

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