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Ecco come è fatta davvero la carne vegana: è veramente una scelta salutistica?

Gli hamburger o altre alternative vegetali potranno ancora utilizzare termini di riferimento tipici dei prodotti carnei. Nei giorni scorsi, non sono passati alcuni emendamenti della commissione Agricoltura d’Unione europea che riservavano termini come bistecca, salsiccia, affettati, formaggio, scaloppina, burger e hamburger solo a quei prodotti esclusivamente a base di carne o derivati. Se approvati, dovevano essere venduti con la denominazione modificata. “I produttori veg esultano (e li capisco)”, commenta il dottor Paolo Pigozzi, medico nutrizionista e pioniere in Italia dell’alimentazione vegetariana. “Tuttavia, da vegetariano di lungo corso (e sulla via del veganesimo), un po’ mi dispiace che l’occasione di fare chiarezza, anche sul nome dei piatti, sia stata rimandata. Se in un ristorante vegano trovo sul menu hamburger (di legumi) e patatine fritte, grigliate miste (sia pure di seitan e tofu), bigoli alla carbonara (vegetale), taglieri di affettati e formaggi cremosi (veg, naturalmente) mi sembra quasi di stare in una steakhouse. Preferirei ordinare, con orgoglio, una ricca pasta e fagioli”.

Sotto osservazione sono quindi hamburger, wurstel, cotolette, perfino macinato per il ragù e affettati: l’offerta è oggi davvero molto ampia, ma queste alternative valgono davvero una scelta salutistica? Per esempio, alcuni tipi di burger sono a base di farine precotte di legumi (piselli, ceci, lenticchie…). Sono veloci da preparare e più o meno proteici a seconda del legume usato; di solito gli altri ingredienti sono adeguati perché gli addensanti non sono troppi (si usano magari fecola o fiocchi di patate) e il tutto è completato da aromi e spezie. Ci sono anche preparati in polvere di facile uso, come quelli ormai noti per i falafel. Gli affettati contengono molti oli di semi, a volte anche di palma, segno che questi prodotti, al pari di quelli “veri”, sono ricchi di grassi. A volte ci sono anche sciroppi, i cui effetti sulla salute non sono proprio ottimali e a cui si rinuncerebbe volentieri in un prodotto salato. Nei wurstel si aggiunge l’affumicatura che, per quanto effettuata bene nel biologico, può comunque presentare rischi per la salute con l’abuso.

Il problema di fondo di questi prodotti è sempre lo stesso: spesso le proteine sono poche, i carboidrati troppi (soprattutto amidi), il prezzo elevato. A fare la differenza tra le varie tipologie sono la manipolazione più o meno accentuata, che ovviamente si riflette sul prodotto finale, e il mix più o meno bilanciato di ingredienti. Per saperne di più esaminiamo gli ingredienti principali.

Tofu e tempeh, poca lavorazione – Questi derivati della soia sono ottenuti con metodi tradizionali nella cucina dell’Estremo Oriente, e per la ridotta lavorazione subita possono essere definiti naturali. Non guasta un piccolo ripasso sulla loro produzione, utile per capire la differenza sostanziale con la soia ristrutturata. Il primo deriva dalla cagliatura del “latte”, a sua volta ottenuto dai semi ammollati, macinati e bolliti: semplicissimo e tranquillamente riproducibile a casa. Il secondo, anch’esso realizzabile a domicilio ma con qualche difficoltà, si prepara con fagioli di soia precotti e inoculati con un fungo che attiva la fermentazione. Entrambi ben digeribili e proteici (soprattutto il tempeh ha più proteine; conserva un po’ di antiossidanti del prodotto di origine, vari minerali e vitamine del gruppo B). Sia il tofu sia, in minor misura, il tempeh sono in vendita al naturale o arricchiti con sapori e aromi diversi, che li rendono particolarmente sfiziosi; dal tofu in particolare si ricavano anche burger, affettati, wurstel e altri prodotti simili, di cui parleremo ancora in seguito.

Soia ristrutturata per mille usi – Il legume di origine è lo stesso, ma la lavorazione molto diversa e non effettuabile in casa. La data di nascita è recente (anni ’60): non è quindi un prodotto tradizionale. Questa soia si ottiene lavorando le proteine in modo che diventino elastiche e viscose; una volta reidratate assumono una consistenza che ricorda la carne. La lavorazione non modifica la composizione, ma la struttura. La soia destrutturata viene prodotta in varie forme: granulare, da utilizzare come base per ripieni o per altre preparazioni, tipo burger, affettati e wurstel (anche industrialmente viene impiegata così); in formati più grandi per ottenere bistecche o spezzatino.

Ma come avviene la lavorazione? I semi vengono riscaldati, schiacciati e decorticati per ottenere i fiocchi, che poi sono sgrassati (se il prodotto non è biologico, la lavorazione avviene con esano, poi eliminato con un trattamento a vapore; ne permangono però tracce). A questo punto ci sono due possibilità: macinazione ed estrusione, ottenendo la farina di soia testurata con circa il 50% di proteine; o la concentrazione della farina con l’eliminazione di alcune parti, ed ecco la farina di soia testurata con circa il 70% di proteine.

Il procedimento viene effettuato con riscaldamento a elevate temperature (140°-180°). Le proteine isolate che se ne ricavano hanno certo un buon valore biologico, tanto da essere impiegate anche nelle barrette energetiche, ma sono nutrizionalmente povere perché non associate a fibre, vitamine e minerali, tanto meno a lipidi, che nella soia hanno un buon interesse nutrizionale. Il prodotto finale è quindi più povero e snaturato rispetto a tempeh e tofu, anch’essi derivati della soia. Per inciso, ricordiamo anche che l’abuso di questo legume può provocare intolleranze e allergie.

Lupini e altri legumi – I lupini sono tra i semi più gettonati per la realizzazione di medaglioni, filetti, ecc. Hanno il vantaggio di essere molto proteici, oltre che di contenere altri nutrienti tra cui buoni grassi polinsaturi. Sono molto sfruttati nell’industria alimentare, per lo più tostati e macinati, perché hanno proprietà emulsionanti, coloranti, esaltanti del sapore che negli impasti li rendono validi sostituti di uova e burro o altri grassi. Per di più hanno un buon sapore. L’unico loro limite è la capacità di provocare reazioni allergiche nei soggetti predisposti, soprattutto sotto forma di farina (in genere consumata inconsapevolmente), che l’Unione europea ha incluso tra i 12 prodotti a maggior rischio. È bene sapere che chi è allergico alle arachidi lo è con molta probabilità anche ai lupini.

Negli ultimi anni questi legumi hanno dato vita a numerosi tipi di carne vegetale, tra cui affettati, bistecche, burger, filetti, ecc. a base di semi cotti e macinati, amido, spezie ed erbe, verdure aromatiche, olio di girasole; alcuni prodotti contengono glutine e altri sciroppi. Un panorama abbastanza variegato, dunque, che richiede attenzione nella scelta. Tuttavia in questo ambito si possono trovare buoni prodotti con un buon equilibrio proteico, soprattutto se i semi macinati compaiono al primo posto in alte percentuali. Piuttosto, usate anche le farine di lenticchie, ceci e piselli per compattare e dare sapore, ma anche come ingrediente principale, soprattutto nei burger; molto apprezzate le lenticchie, che possono essere integrali o, se in farina, decorticate: sono infatti saporite e ben provviste di proteine, benché non quanto i lupini.

Il glutine è protagonista – Il glutine è la frazione proteica di alcuni cereali, in particolare grano, kamut e farro. Rende gli impasti molto omogenei, perciò è impiegato come legante nella carne vegetale. Ma può dare gravi intolleranze e allergie. Di sicuro il più noto e diffuso prodotto a base di glutine è il seitan. Originario della Cina, è arrivato a noi negli anni ’60 tramite la macrobiotica; negli ultimi anni ha conosciuto un veloce e notevole apprezzamento. Viene ricavato da una frazione proteica del frumento (o di cereali della famiglia, farro e kamut). Se ne può preparare facilmente in casa un impasto simile a quello del pane, da passare poi sotto il rubinetto per eliminare la parte amidacea (con un notevole spreco alimentare e idrico). L’impasto così ottenuto viene bollito e aromatizzato, per esempio con alga kombu e salsa di soia. In commercio esistono anche preparati per realizzare rapidamente il prodotto, ma anche seitan pronto, al naturale o aromatizzato nei modi più svariati. Nel complesso il prodotto non è molto manipolato, non contiene sostanze chimiche e, se acquistato cotto, è di rapido impiego. Dal punto di vista nutrizionale è però molto zoppicante.

Infatti, pur essendo un concentrato di proteine, ha circa la metà degli amminoacidi essenziali; in particolare è carente di lisina. Nella graduatoria Oms dell’indice di qualità proteica dei cibi (Protein Digestibility Corrected Amino Acid Score), il seitan risulta in basso, con un valore inferiore del 66% rispetto alla soia e del 43% rispetto ai fagioli bianchi. Per avere proteine complete va dunque associato con i legumi, che hanno il profilo di amminoacidi complementare, e non con i cereali. Il seitan, che è glutine puro, può andare bene per gli orientali, che mangiano soprattutto riso, ma non per noi italiani, che preferiamo il grano in ogni sua variante. Se non altro gli altri due prodotti a base di glutine di cui ci occuperemo ora non hanno soltanto questa proteina e mostrano un miglior bilanciamento.

Il muscolo di grano, ideato negli anni ’90 in Calabria, contiene oltre al glutine farina di legumi (di solito lenticchie e soia), aromi vari, tra cui il peperoncino, erbe aromatiche come il rosmarino, ortaggi. Il grano usato è soprattutto Senatore Cappelli, meno ricco di glutine di quello attuale. Con questa base si preparano arrosti, spezzatini, insaccati di tanti tipi come il prosciutto cotto e la bresaola, che devono i loro colori rispettivamente a pomodoro e succo di barbabietola.

Il mopur, altra invenzione italiana, contiene anch’esso glutine, insieme a farina di frumento e di ceci o lupini addizionate con un olio (extravergine, di girasole o di cocco). Sono poi aggiunti ortaggi aromatici come aglio e cipolla, erbe, spezie, tamari. La novità sta nella fermentazione con pasta madre, che rende il mopur più digeribile e attenua gli effetti del glutine (senza però annullarli). Dalla lavorazione, di tipo biodinamico, prendono vita salsicce, carne macinata, carpaccio, spezzatino, bresaola, ecc.

I prodotti presentati hanno un valore alterno, ma sapendo scegliere, qualcosa di buono si trova nel settore bio (che non ha Ogm, additivi di sintesi, oli raffinati). I parametri utili sono: numero limitato di ingredienti; lavorazione ridotta al minimo; presenza contenuta di grassi e carboidrati (soprattutto addensanti) e più elevata di proteine. Grande attenzione va posta poi a tutti quei prodotti che si basano principalmente sul glutine. Infine resta da capire se è proprio indispensabile mettere regolarmente in tavola cibi che ricordino, nella forma e nell’aspetto, quelli che abbiamo scelto di non mangiare più.

Leggere le etichette – Solo le etichette possono rivelarci se stiamo acquistando o meno un buon prodotto. Che cosa guardare? Prima di tutto che gli ingredienti non siano troppi: meno ce ne sono, meglio è, significa che il prodotto è meno elaborato. In un elenco lungo è facile trovare qualcosa di troppo: grassi, sciroppi, sale, addensanti di vario tipo, allergeni. È bene poi valutare che posti occupano questi ingredienti: più sono in cima all’elenco più sono contenuti, soprattutto se compaiono più volte. Per esempio si possono trovare: fecola di patate, farina di semi di carrube, carragenina, tutti addensanti; glutine e farina di frumento, che aumenta il contenuto del primo; o, peggio ancora per il problema del glutine, proteine del grano e seitan. Controllare che anche l’olio non sia troppo presente e soprattutto che sia di qualità: da evitare per esempio l’olio di oliva (che non è extravergine) o di palma. Bisogna poi valutare che non ci sia troppo sale; l’ideale un massimo di 0,12 g/100 g. Infine, va letta l’etichetta nutrizionale per verificare l’effettivo contenuto proteico (vedi oltre).

Ricettario: burger vegan & co. fai da te

Salsicce di tofu e ceci
160 g di tofu sodo

240 g di ceci cotti e scolati

1 cucchiaino di aglio in polvere

1 cucchiaino di cipolla in polvere

1 cucchiaino di paprica dolce

1 cucchiaino di paprica affumicata

1/2 cucchiaino di coriandolo macinato

1 carota

6 pomodori secchi sottolio

2 cucchiai di semi di lino macinati al momento

3 cucchiai di farina di farro integrale

4-6 cucchiai di farina di mais macinata finissima

2 cucchiai di olio extravergine di oliva (evo) + altro per la teglia

1 cucchiaio di succo di barbabietola

1 cucchiaio di salsa di soia

gomasio

Mettete in un mixer il tofu, i ceci, l’aglio, la cipolla, la paprica e il coriandolo; frullateli finché non sono omogenei. Unite la carota grattugiata finemente e i pomodori secchi tritati. Proseguite con i semi di lino e poi incorporate gradualmente il succo di barbabietola, la salsa di soia e l’olio. Unite poco per volta la farina di farro e poi quella di mais, mescolando fino ad avere un composto sodo e omogeneo. Condite con il gomasio.

Dividete il composto in 7 parti uguali, ricavatene delle palline che rotolerete sul tavolo fino a formare delle salsicce. Avvolgete ognuna in plastica alimentare e cuocetele a vapore per 30-35 minuti. Quando potete eliminate l’involucro e sistematele su una teglia rivestita con carta da forno e unta con olio. Passatele in forno a 180° finché non sono ben colorite. Con il composto potete preparare anche dei medaglioni.

Wurstel di miglio e fagioli rossi
150 g di fagioli rossi cotti

100 g di miglio

300 ml di brodo vegetale

2 cipollotti

1 spicchio di aglio

2 cucchiai di farina di riso

1 cucchiaino di concentrato di pomodoro

2 cucchiai di chia

1 cucchiaino di paprica dolce

1 cucchiaino di paprica affumicata

pangrattato

1 cucchiaino di pimento macinato

2 cucchiai di olio evo

gomasio e peperoncino

Radunate in una casseruola il miglio e il brodo freddi. Copriteli, fateli bollire e cuoceteli a fuoco basso per 20 minuti. Lasciateli riposare per 10 minuti. Schiacciate con una forchetta i fagioli scolati. Uniteli al cereale, quindi aggiungete tutti gli altri ingredienti tranne l’olio e il pangrattato. Unite quest’ultimo poco per volta, impastando fino ad avere un composto non troppo colloso (ce ne vorranno circa 6 cucchiai). Ricavatene dei salsicciotti come nella ricetta precedente, avvolgeteli stretti nella pellicola e lasciateli in frigo per 6-8 ore. Fateli poi colorire in una padella con l’olio per una decina di minuti. Con il composto potete preparare anche dei burger.

Panino alla “carne macinata”
4-5 panini arabi integrali

100 g di semi di soia

1 cipolla

2 spicchi di aglio

1 foglia di alloro

400 g di pomodori pelati

1 cucchiaino di concentrato di pomodoro

2 cucchiai di aceto di mele

1 cucchiaino di cumino pestato

½ cucchiaino di pimento macinato

3 cucchiai di olio evo

sale e peperoncino

Ammollate la soia per 24 ore, scolatela e sciacquatela. Mettetela in un frullatore coperta di acqua e tritatela grossolanamente. Cuocetela in pentola a pressione per 25 minuti, infine scolatela.

Tritate finemente l’aglio e la cipolla, fateli appassire in una casseruola con 1 cucchiaio di olio e 2-3 di acqua, l’alloro, il cumino e il pimento. Quando cominciano a profumare unite i pomodori, che schiaccerete con una forchetta, e il concentrato diluito in acqua. Condite con sale e peperoncino. Aggiungete anche la soia e fate cuocere a fuoco basso per 30-40 minuti, mescolando ogni tanto. Alla fine il legume dovrà essere morbidissimo e il ragù denso. Unite il restante olio.

Scaldate il pane in forno, farcitelo con il sugo e mangiatelo caldo.

“Bacon” vegetariano
400 g di tofu compatto

2 cucchiai di aceto balsamico

2 cucchiai di salsa di soia

1 cucchiaino di paprica dolce

1 cucchiaino di paprica affumicata

1 cucchiaino di rosmarino secco

2-3 foglie di salvia secca

brodo vegetale

gomasio e peperoncino o pepe

Tagliate il tofu a fettine spesse circa ½ cm, sbollentatelo e fatelo intiepidire, quindi trasferitelo in una ciotola. Mescolate l’aceto, la salsa di soia, la paprica, il gomasio, il pepe o il peperoncino, gli aromi sbriciolati finemente. Versateli sul tofu, unendo se serve un po’ di brodo vegetale per coprire tutto. Rimestate e fate marinare per un’oretta, rivoltando le fette ogni tanto.

Trasferitele su una teglia rivestita con carta da forno, evitando di sovrapporle. Infornatele a 175° per 25 minuti, girandole una volta. Potete servirle in un panino o come secondo piatto.

Burger di lenticchie e mandorle
200 g di lenticchie arancioni

250 g di carote

100 g di mandorle sgusciate

1 cucchiaino di origano

1 cucchiaino di concentrato di pomodoro

1 spicchio di aglio

pangrattato

farina di mais macinata finissima

gomasio e peperoncino

Sciacquate bene le lenticchie e mettetele in una pentola con le carote lavate, spuntate e affettate. Unite l’origano, il concentrato di pomodoro, il peperoncino e l’aglio tritato. Coprite appena di acqua. Cuocete i legumi a fiamma bassa, aggiungendo acqua se serve. Alla fine dovranno essere abbastanza asciutti. Condite con il gomasio e schiacciate con una forchetta. Unite il pangrattato necessario per formare un composto omogeneo, non troppo asciutto. Formate dei burger (o, volendo, delle polpette) e rivestiteli con la farina. Disponeteli in una teglia spennellata di olio e infornateli a 190° per 15-20 minuti, finché non sono ben dorati da entrambi i lati. Serviteli caldi.

Polpette veloci di ceci

250 g di ceci cotti

40 g di pinoli

40 g di semi di zucca

pangrattato

1 cucchiaino di basilico secco

1 cucchiaino di curcuma

2 cucchiai di olio evo

sale marino integrale e pepe

Macinate finemente i semi in un macinacaffè. Mettete i ceci in un mixer con il basilico, la curcuma, il sale e il pepe. Versate poco alla volta un po’ di acqua di cottura, frullando fino ad avere un composto omogeneo. Compattatelo se necessario con un po’ di pangrattato. Aiutandovi con un porzionatore per il gelato, prelevate delle palline dal composto e sistematele su una teglia spennellata con olio. Infornate le polpettine a 180° per circa 15 minuti, girandole un paio di volte. Servitele calde.

Giuliana Lomazzi – Vita&Salute per Il Fatto Quotidiano

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