Diritti

Lavoratori fragili, storie di chi rischia posto e salute: “Costretti a usare le ferie per non essere licenziati. Smart-working consigliato? Per molti impossibile”

A causa di un vuoto normativo tra gli ultimi decreti e per la mancanza di fondi sufficienti chi ha gravi patologie si è ritrovato a consumare giorni di vacanza e permessi per non esaurire il limite massimo di malattia. E il loro destino è rimasto appeso a decreti, emendamenti e impegni perlopiù disattesi

“Il 25 settembre vengo convocato dalla direzione a fine turno. Vado e mi consegnano il licenziamento per superamento del periodo di comporto di malattia. Il proprietario, dopo 25 anni di lavoro, mi dice che ‘del mio caso se ne devono occupare gli enti preposti’, non certo lui”. Giovanni Sandomenico è un metalmeccanico di Minerbio, in provincia di Bologna dove lavora da un quarto di secolo, nonostante gravi problemi di salute per i quali è ancora immunodepresso col 60% di invalidità. Tra le sfortune, ha quella di far parte della categoria dei “lavoratori fragili”, ed è tra coloro che, a causa del Covid, ha superato il “periodo di comporto“, ovvero il numero di tempo massimo di malattia che viene concesso a un dipendente. Proprio ai lavoratori fragili, nelle ultime ore, si è rivolto tra gli altri anche il presidente della Lombardia Attilio Fontana chiedendo di “stare a casa”, ora che l’attività ordinaria degli ospedali deve saltare per far posto a quella emergenziale legata al Covid. Peccato che a casa tanti non ci possono proprio stare, perché se lo fanno – esaurite le ferie, permessi e quant’altro oltre allo stipendio ridotto – rischiano di perdere il lavoro. I fragili sono infatti la categoria di lavoratori che doveva essere tutelata per prima, ma che è stata invece abbandonata tra i rischi licenziamento o di una retribuzione che, mese dopo mese, scivola precipitosamente verso lo zero, senza il paracadute della cassa integrazione. In quanto “fragili” e “dimenticati”, vivono oggi stritolati tra le due curve del contagio, senza certezze per il futuro. E da quando è iniziata l’emergenza, il loro destino è stato appeso a decreti, emendamenti e impegni (perlopiù disattesi), come in una folle corsa sulle montagne russe.

I problemi iniziano già a marzo con l’emanazione del “Cura Italia”. All’articolo 26 si prevedeva una specifica tutela per i lavoratori affetti di patologie oncologici, immunodepressi e così via. La tutela consisteva nell’equiparare le assenze fatte per evitare il rischio contagio al ricovero ospedaliero, e dunque fuori dai 180 giorni oltre i quali le aziende private e pubbliche possono licenziare. A parte l’iter farraginoso, la proroga agostana ha dimenticato i “fragili” e la protezione è saltata, finché non è stata reintrodotta con un emendamento in Senato che ha spostato il termine dei benefici da fine luglio al 15 ottobre, ma soprattutto ha stabilito che fino al 31 dicembre (non a fine emergenza) gli stessi lavoratori “svolgono di norma la prestazione lavorativa in modalità agile, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti, o lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale anche da remoto”.

E qui emerge tutta la distanza tra il legislatore e il mondo che lavora, perché le attività e mansioni che si possono svolgere “da remoto” sono limitate a talune categorie e non ad altre. Sono frutto della fantasia, infatti, la cassiera immunodepressa di un supermercato che stacca gli scontrini dal divano di casa, l’operaio che avvita bulloni in salotto o il trasportista che carica e scarica i mattoni con la playstation. E’ proprio il caso di Elisabetta S., affetta da malattia cronica intestinale, morbo di Crohn con un invalidità del 70%, la 104, che placa con un farmaco immunosoppressivo. E racconta che, a causa del virus, a marzo è stata giudicata “non idonea al lavoro”, e di aver fatto malattia dal 16 marzo al 31 luglio. Il timore di raggiungere il comporto l’ha indotta quindi a tornare al lavoro senza effettuare la visita del medico competente. Lavora sì, ma nella paura: “Io lavoro in cassa in un supermercato e non mi è possibile fare lo smartworking. Sinceramente ho molta paura perché oltre alla mia situazione personale che mi rende più a rischio, non c’è neanche molto rispetto da parte dei clienti”.

Nonostante il caso dei “fragili” sia emerso da tempo, dal 16 ottobre quell’equiparazione tra malattia e ricovero ospedaliero non è più automatica e i casi di licenziamento si moltiplicano. Nel frattempo infatti il Senato ha messo una pezza, ma solo per il pubblico. Un emendamento ha modificato l’articolo 87 del Cura Italia ha infatti stabilito che “il periodo trascorso in malattia o in quarantena con sorveglianza attiva, o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva, dai dipendenti delle amministrazioni (…) , dovuta al COVID-19, è equiparato al periodo di ricovero ospedaliero e non è computabile ai fini del periodo di comporto”. Il sottolineato nell’ultima frase è la novità che fa la differenza fra essere licenziati – a fine emergenza – oppure no. Ma vale, appunto, solo per i “dipendenti delle amministrazioni”. Per tutti gli altri? Al momento nessuna indicazione.

I “fragili” hanno cercato di protestare. Ma per la loro stessa condizione non possono scendere in piazza. Sono incatenati alla loro stessa fragilità. Così si sono mobilitati come possono. Come un trofeo, la signora Luciana di Cassina De Pecchi, in Lombardia, esibisce su Facebook una lettera a Mattarella con richiesta d’aiuto e la cortese risposta, con promessa di sensibilizzare chi di dovere. Altri hanno bombardato di mail istituzioni e parlamentari per cercare aiuto e mettere fine a questa odissea. Matteo, un ragazzo paraplegico di Bologna ha fatto due video-denunce su Youtube, spiegando che per non essere licenziato per superamento del comporto ha preso ferie forzate ma resta il problema dello stipendio. “Dall’8 di questo mese l’Inps non paga più e io sono in malattia da oltre sei mesi. Per fortuna l’azienda non mi licenzia, ma io lavoro sui contrassegni e non si può fare dalla mia cameretta”.

Le storie che vengono a galla sono disarmanti, il problema non risparmia nessuno. Francesco Giudice appartiene alla categoria dei Lavoratori fragili e lavora al Fatebenefratelli di Napoli. “Sono immunodepresso in terapia – racconta – con un farmaco che non mi permette di stare a contatto con il pubblico lavorando in un ospedale, reso in inidoneità​ temporanea dal medico competente dell’azienda, dove lavoro secondo l’articolo 83 del Dpcm del 4 settembre è messo in malattia senza retribuzione. Questa mia situazione​ riguarda anche altri quattro colleghi miei. Ma è una situazione comune, ci sono altre migliaia di persone inserite in altri tipi di aziende che non potendo praticare lo smart working e lavoro agile così come previsto nell’articolo 83 di competenza delle aziende, rimane a casa senza retribuzione o in aspettativa a carico aziendale. Questa scelta della retribuzione​ spetta alle aziende o pubbliche o private o alle contrattazioni locali con i sindacati, noi questa opportunità non l’abbiamo avuta e ci ritroviamo senza stipendio dal primo settembre fino a tutto il 31 gennaio, sperando che questo stato di emergenza finisca col 31 gennaio perché se dovesse continuare la proroga​ lo stato di emergenza verrà prorogato noi continueremmo ad essere lavoratori fragili a casa senza retribuzione con il rischio del licenziamento”.