Sono scesi in strada a migliaia, per la quinta notte consecutiva, per protestare dopo la nuova pronuncia della Corte costituzionale sull’aborto, che lo vieta anche in caso di grave malformazione e malattia irreversibile del feto. E dopo giorni di manifestazioni il premier polacco Mateusz Morawiecki interviene condannando i cortei e chiedendo l’aiuto dell’esercito per rispondere “ad atti di barbarie, vandalismo e alle aggressioni”. In un contesto di grande tensione, il vicepremier e leader del partito al governo Pis (Diritto e Giustizia), Jaroslaw Kaczynski, ha gettato altra benzina sul fuoco invitando i suoi sostenitori a scendere in strada a loro volta per “difendere le chiese”, bersaglio di giovani che in alcuni casi hanno interrotto le funzioni religiose.

Intanto il Covid morde come mai prima: proprio oggi si è toccato un nuovo record di 16.300 contagi e 130 morti in 24 ore, e il Paese è ormai per intero zona rossa, con un limite agli incontri di 5 persone. Un veto che non ha frenato le proteste: “passeggiate” pacifiche fino a questo momento in oltre cento località del Paese, contro le quali però i conservatori al governo hanno scelto la linea dura. Secondo alcuni analisti, la stretta sul diritto all’aborto sarebbe caduta in questo periodo nell’illusione di evitare l’esplosione del malcontento. Non è andata così: a Varsavia ieri, secondo le stime, hanno manifestato 250mila persone. A Breslavia 60mila. E di nuovo stasera i polacchi hanno protestato a migliaia in decine di città.

Morawiecki ha condannato “barbarie e atti di vandalismo”, affermando di temere “l’escalation della tensione sociale”. A rincarare la dose ci ha pensato il vicepremier: “È arrivato il tempo in cui dobbiamo saper dire no a chi vuole distruggerci, difendiamo la Polonia!”, ha tuonato Kakzynski, sollecitando “seguaci e simpatizzanti a difendere la chiese, attaccate per la prima volta nella storia della Polonia”.
Il potere – mentre il presidente Duda è in isolamento dopo esser risultato positivo al coronavirus – non fa retromarcia per ora: fra pochi giorni la decisione della Corte, che boccia il ricorso all’aborto nei casi di gravi e irreversibili patologie dell’embrione, dovrebbe diventare legge. E gli ospedali hanno già iniziato a mandare a casa le donne che chiedono di abortire rientrando in questa casistica (la maggioranza fa ricorso all’interruzione proprio per i motivi indicati dalla sentenza).

“Siamo in guerra”, si legge sugli striscioni esibiti oggi davanti al parlamento di Varsavia dove il presidente del Sejm Ryszard Terlecki ha offeso alcune deputate di opposizione, paragonando il simbolo della protesta, un fulmine rosso, alle SS del III Reich. “La nostra è una lotta per la libertà – ha detto Marta Lempart, avvocatessa, fra le leader che hanno lanciato le manifestazioni – la battaglia dell’aborto è un simbolo. Vogliamo una Polonia che rispetti i diritti di tutti. Non ci fate paura con l’esercito, se serve il lockdown lo facciamo noi!”.

L’attivista ha citato sondaggi secondo i quali il 69% della popolazione è favorevole all’aborto. E la dimensione della protesta in corso spaventa anche l’episcopato, che ha visto per la prima volta nella storia polacca i giovani interrompere le cerimonie religiose per contestare il forte legame fra la chiesa e l’attuale apparato di potere. “State lontani dal mio duomo!”, ha gridato contro di loro il vescovo Jan Piotrowski a Kielce. A Poznan, dove ha sede monsignor Stanislaw Gadecki, presidente della conferenza di vescovi, per far uscire i giovani dalla cattedrale è dovuta intervenire la polizia.

La sentenza contestata – Nel suo pronunciamento di giovedì, la Corte costituzionale ha vietato l’aborto in caso di problemi congeniti del feto, il che equivale di fatto a vietare quasi del tutto l’aborto visto che questa dei problemi congeniti è la motivazione più frequentemente addotta per le interruzioni di gravidanza nel Paese. In Polonia, infatti, l’aborto è regolato da una legge del 1993 che prevede solo tre casi per l’interruzione di gravidanza legale: se la gravidanza mette a rischio la salute o la vita della madre; se è il risultato di uno stupro o di un atto illegale; e, appunto, se il feto presenta problemi congeniti. Eventualità quest’ultima cassata dai giudici.

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