L'accusa dell'avvocato di parte civile: "Mancata vigilanza” e “grande negligenza” nel controllo del preseminario. I due imputati sono don Gabriele Martinelli, accusato delle violenze, e don Enrico Radice, ex rettore del preseminario, accusato di favoreggiamento
Colpo di scena nel processo sugli abusi sessuali tra i chierichetti del Papa. Alla seconda udienza, si è presentata la presunta vittima, che si è costituita parte civile, e il suo avvocato ha presentato un’istanza di citazione in giudizio del Preseminario vaticano San Pio X e dell’Opera don Folci che lo gestisce, ente della diocesi di Como. Il legale ha puntato il dito contro la “mancata vigilanza” e la “grande negligenza” nel controllo del preseminario. L’istanza è stata accolta dai tre giudici del tribunale vaticano, nonostante le opposizioni sia del pm, che dei due avvocati della difesa. Attualmente, il rettore del preseminario e il superiore dei sacerdoti dell’Opera don Folci è don Angelo Magistrelli. Si allarga, dunque, il processo che vede imputati don Gabriele Martinelli, all’epoca dei fatti seminarista, che è accusato di abusi sessuali, e don Enrico Radice, ex rettore del preseminario, accusato di favoreggiamento.
Ai giudici vaticani l’avvocato della presunta vittima di don Martinelli ha chiesto, inoltre, l’accesso ai dati dal momento che “non abbiamo nulla di questo processo, solo la richiesta di rinvio a giudizio”. Don Martinelli, classe 1992, è accusato di aver usato violenza e minaccia, abusando della sua autorità e approfittando delle relazioni di fiducia in qualità di frequentatore anziano del preseminario, tutore e coordinatore delle attività dei seminaristi, costringendo la sua vittima, di un anno più piccola, a subire ripetuti abusi all’interno del Vaticano. Violenze, che sempre secondo l’accusa, sono avvenute dal 2007 al 2012. Nella seconda udienza del processo, Martinelli ha, dunque, incontrato la sua presunta vittima. I loro sguardi, però, non si sono mai incrociati durante il dibattimento in aula.
Don Radice, classe 1949, è accusato, invece, di avere più volte, come rettore del preseminario, in Italia e anche all’estero, aiutato Martinelli a eludere le investigazioni dopo i reati di violenza carnale e libidine. Il 3 ottobre 2013, infatti, il sacerdote ha inviato una lettera all’allora vescovo di Como, monsignor Diego Coletti, in cui smentiva la denuncia della vittima di Martinelli, definendola fumus persecutionis. Ma c’è di più. Sempre secondo i magistrati del Papa, don Radice ha inviato successivamente una falsa lettera a nome del presule, su carta intestata della diocesi di Como, in cui annunciava l’imminente ordinazione sacerdotale di Martinelli. Lettera che è stata disconosciuta proprio da monsignor Coletti. Nel 2018, durante un interrogatorio con i pm vaticani, don Radice ha anche sostenuto “con certezza assoluta” di non essere a conoscenza di atti omosessuali o di libidine nel preseminario di cui era rettore. In questo modo, secondo i magistrati, ha intralciato le indagini insabbiando le accuse. Ecco perché il legale della presunta vittima di Martinelli ha chiesto e ottenuto che il processo sia allargato all’intero preseminario e all’Opera che lo gestisce.