La senatrice Donatella Conzatti, segretaria della Commissione d’inchiesta sul femminicidio, ha presentato un progetto di legge “sul recupero degli uomini maltrattanti al fine di potenziarne la rete per prevenire la violenza”. La proposta è stata fortemente criticata dalla rete dei centri antiviolenza D.i.Re.

La presidente, Antonella Veltri, si è espressa ieri sul ddl: “Restiamo scettiche e preoccupate di fronte all’iniziativa della senatrice Donatella Conzatti perché la violenza maschile contro le donne non è un problema individuale, del singolo, come se fosse un malato che deve fare una cura, ma un fenomeno strutturale che può essere contenuto solo con un cambiamento culturale che investa tutta la società”.

Un uomo che agisce violenza non cambia in pochi mesi. Se ha capito di aver causato sofferenza, se ne deve assumere tutta la responsabilità, facendosi carico del costo dei propri percorsi, senza usufruire di fondi pubblici che potrebbero essere devoluti alle vittime. Molte versano in condizioni economiche precarie e vivono sotto la soglia della povertà. Il disagio economico influenza i tempi di permanenza nelle Case rifugio che si allungano sempre di più. Negli anni 90 ci volevano sei mesi per rimettere in piedi la vita delle donne dopo la separazione dai violenti, oggi i tempi necessari alla costruzione dell’autonomia economica vanno dall’anno e mezzo ai tre anni.

Perché non si impiegano quegli investimenti per creare un fondo per pagare affitto e bollette alle vittime di violenza? Oppure per istituire un fondo per la psicoterapia delle vittime che sentono il bisogno di elaborare il trauma della violenza, o ancora per i risarcimento materiale o morale per i danni subiti?

Un’altra criticità di questi percorsi è l’uso strumentale che ne viene fatto. Siamo a conoscenza di un boom di richieste ai Centri d’ascolto maltrattanti da parte di uomini denunciati o rinviati a giudizio per violenze che si servono di questi luoghi con l’unico obiettivo di ottenere sconti di pena e di presentarsi nella cause di affidamento dei figli, immacolati e con la patente del cambiamento.

In questi casi si tratta di escamotage per convincere i giudici a dare un colpo di spugna sulle loro azioni e sui danni psicologici inflitti alle compagne. Nelle cause di separazione, a fronte della manifestazione della loro paura, le donne spesso si sentono dire che: “Lui è cambiato, non faccia storie, lei è rancorosa”. E quante volte, le donne hanno sentito promesse di cambiamento che non si sono mai realizzate?

Ho sempre guardato con interesse ai Centri ascolto maltrattanti come luoghi di assunzione di responsabilità della violenza maschile, per un cambiamento che fosse anche collettivo. Ma se non si impedisce ai maltrattanti di giocare con il sistema e si banalizza il processo di cambiamento, pensando che una manciata di incontri modifichino comportamenti e schemi di relazione appresi fin dall’infanzia, il “recupero” si tradurrà in una ricaduta negativa sulle vittime.

Alcuni, dopo aver frequentato per qualche settimana i centri per maltrattanti, chiedono l’affidamento esclusivo dei figli che li rifiutano. Sappiamo che nei tribunali civili, la paura dei bambini di frequentare padri violenti viene spiegata con la manipolazione materna e se la Commissione sul femminicidio ha il merito di aver aperto un’inchiesta su oltre 500 casi, non è chiaro quali iniziative saranno prese per porre rimedio alle violazioni della Convenzione di Istanbul e delle Convenzioni Internazionali che tutelano i diritti dei bambini.

Solo 15 giorni fa il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa aveva bocciato nuovamente l’Italia, responsabile di ostacolare l’accesso alla giustizia alle donne vittime di violenza. Nel nostro Paese non si fa abbastanza sul piano della prevenzione della violenza non solo culturalmente ma anche nell’applicazione delle misure cautelare finalizzate a limitare gli autori di maltrattamento. Tutto questo avviene perché le donne non sono credute, la società italiana è ancora intrisa di pregiudizi e stereotipi sulle donne e sulla violenza maschile, e l’elevato numero di archiviazioni nei tribunali scoraggiano e vittimizzano le donne regalando forza ai violenti.

Casi come quello di Bolzano, denunciato pochi giorni fa dal Centro antiviolenza Gea, non sono isolati e sentenze come quella vergognosa della Corte d’Appello di Milano che a settembre ha ridotto la pena ad un uomo che aveva sequestrato, picchiato e stuprato la moglie perché aveva avuto relazioni con altri uomini, sono il sintomo di un sistema che giustifica e sottovaluta la violenza maschile.

Il femminicidio viene percepito come comprensibile reazione a provocazioni delle donne, percepite come semi-soggetti o possesso di mariti o compagni. Non sarà possibile alcuna prevenzione della violenza se non si arriverà ad avere piena coscienza del disvalore delle azioni dei violenti e se non si realizzeranno azioni integrate da parte di tutti i soggetti coinvolti, istituzionali e non, per innalzare un confine tra la donna e l’autore di violenza.

La politica cede alla seduzione di soluzioni facili e veloci che sostituiscono gli interventi strutturali disertati nel nostro Paese. Per anni si è inseguito il miraggio degli interventi securitari che sono stati fallimentari ed ora c’è il miraggio del recupero dei violenti? Vogliamo prevenire la violenza maschile? Mettiamo al centro di ogni intervento politico le sopravvissute, i loro bisogni, i loro sogni, realizziamo politiche per contrastare le disparità tra uomini e donne e argineremo il femminicidio.

@nadiesdaa

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