Chiamiamola pure biopsia liquida 2.0, una versione ancora più evoluta di una tecnologia che permette di fare diagnosi e di monitorare il cancro in modo più semplice e meno invasivo. A metterla a punto è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di Catania, dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma e dell’Università di Parma, nell’ambito del progetto europeo “Ultraplacad”, finanziato dalla Commissione Europea all’interno del programma quadro Horizon 2020. Il nuovo sistema, descritto sulla rivista Biosensors and Bioelectronics della Elsevier, sfrutta le proprietà della nanofotonica per individuare il Dna associato alle cellule del tumore utilizzando una sola goccia di sangue. Questo significa che la procedura diagnostica può essere applicata molto frequentemente ed anche su pazienti particolarmente fragili, sia per la diagnosi della malattia che per il monitoraggio della sua evoluzione in modo da consentire una migliore selezione dei trattamenti.
La possibilità di effettuare una diagnosi oncologica utilizzando solo il sangue prelevato dal paziente e non più i frammenti di tessuti prelevati dalla massa tumorale spesso a costo di invasive procedure chirurgiche, ha rappresentato uno dei più significativi avanzamenti dell’oncologia degli ultimi 15 anni. La nuova procedura prende il nome di biopsia liquida. Il sangue trasporta tracce molecolari del tumore che vanno identificate, sia per poter scoprire il tumore, sia per assegnare al paziente il trattamento farmacologico più efficace. Inoltre, il tumore si modifica nel corso del tempo, e per questo motivo è utile seguirlo longitudinalmente, nel corso di tutto il decorso di malattia, così da poter assegnare, tramite appunto il sangue, al paziente il miglior trattamento farmacologico possibile in quel preciso momento. Il paziente oncologico necessita quindi di un frequente monitoraggio, che solo con la biopsia liquida può veramente attuarsi, perché solo col sangue si può avere un aggiornamento continuo delle caratteristiche molecolari del tumore. Le tecnologie attualmente utilizzate per l’analisi molecolare di biopsie liquide da pazienti portatori di tumore sono basate sull’applicazione di protocolli di trattamento dei campioni che necessitano di alcuni millilitri del sangue del paziente. Le procedure richiedono anche lunghi tempi di analisi.
Il nuovo metodo sviluppato dai ricercatori italiani è invece in grado di rilevare il Dna delle cellule tumorali utilizzando un volume di plasma ottenuto dal sangue del paziente corrispondente a 0,04 millilitri, praticamente una sola goccia di sangue. Per farlo, trae vantaggio da un metodo di rivelazione definito “surface plasmon resonance imaging” che viene combinato con l’uso di nanoparticelle metalliche funzionalizzate e di Pna, cioè molecole simili al Dna sintetizzate in laboratorio. Il metodo, inoltre, semplifica significativamente le procedure di trattamento del campione di sangue prima dell’analisi, rispetto a quanto richiesto dai metodi attualmente disponibili sul mercato, rendendole più semplici, veloci, ed economiche. “Il sistema è stato testato sul plasma di pazienti con tumore del colonretto e su donatori sani”, riferiscono i ricercatori che sono riusciti in questo modo a distingue tra il Dna mutato dei pazienti e quello “normale” dei volontari sani. Questo dimostrerebbe, secondo i ricercatori, le promesse della “biopsia liquida nel monitoraggio del cancro”, sottolineano gli studiosi.