VENEZIA – Prima del Mose, Venezia moriva (annegata) a causa dell’acqua alta. Adesso che le paratoie mobili hanno cominciato a entrare in funzione, dimostrando per tre volte di essere utili per tenere lontane le maree, Venezia rischia di morire di Mose. O per lo meno la sua anima mercantile, fatta di traffici e di navi. Perché ogni volta che viene dato l’ordine di alzare il Mose, la navigazione si deve fermare a causa delle bocche di porto sbarrate. E questo avviene in un arco di tempo piuttosto ampio, che risente della durata e natura delle maree, ma anche dei tempi tecnici per far uscire le paratoie dai loro alloggiamenti e farle rientrare quando non sono più necessarie. Da tenere presente che quest’ultima operazione, per essere effettuata, richiede che la marea cali, altrimenti si avrebbe un effetto onda che si abbatterebbe sulla laguna.
La prima volta del Mose, il 3 ottobre 2020, le paratoie sono rimaste sollevate per 9 ore, la seconda per un’ora in meno. A questo arco di tempo vanno aggiunte alcune ore per l’avviso di stop della navigazione. In ogni caso ciò ha comportato non solo il blocco del traffico, ma anche una reazione a catena di ritardi, perché le navi entrano in Laguna trainate da rimorchiatori, a distanza di sicurezza una dall’altra. Il che provoca un ingorgo. Quando il Mose è stato sollevato per la seconda volta, gli operatori portuali hanno dovuto attendere nella notte la comunicazione dell’avvio delle operazioni che sarebbero avvenute all’alba, cercando di ridurre al minimo disagi e ritardi. In termini di transazioni commerciali, ciò si traduce in costi ed eventualmente anche in penali. È per questo che gli operatori economici hanno cominciato ad agitarsi. Alessandro Santi, presidente di Assoagenti e coordinatore della Comunità portuale veneziana, ha dichiarato, riferendosi alla frequenza di sollevamento del Mose: “Rimane sempre il grosso punto di domanda sul livello di salvaguardia che il Mose deve garantire: per noi è a 130 centimetri come previsto dal progetto e stabilito dai vari protocolli”.
Però il commissario per la realizzazione dell’opera, Elisabetta Spitz, e il Provveditore alle opere pubbliche del Triveneto, Cinzia Zincone, hanno sempre affermato che questa quota vale solo per la fase di messa a punto, mentre è destinata a scendere tra un anno quando il Mose sarà ultimato, assestandosi a 110 centimetri. Ma le statistiche del Centro Maree ci dicono che durante tutto il 2019 il livello del mare ha superato per ben 28 volte i 110 cm, quota che fa allagare il 12% della città di Venezia, con una permanenza complessiva pari a circa 50 ore nel solo mese di novembre. Lo scorso anno, quindi, il Mose sarebbe stato messo in funzione 28 volte, in un arco ridotto di mesi, in particolare quelli autunnali.
Se i portuali si augurano che il Mose venga alzato di meno, negozianti e cittadini si augurano esattamente il contrario. Paradossalmente, adesso preferiscono che la marea arrivi a 130 centimetri, così con le paratoie alzate la città rimane asciutta. Ma se è di soli 110 centimetri, il Mose non viene utilizzato e il centro storico finisce in ammollo, in particolare l’area di Piazza San Marco e della Basilica, tra le più basse della città. In ogni caso, l’Agenzia per Venezia, costituita dal governo e che sta per entrare in attività, dovrà affrontare il problema, che comporterà anche una razionalizzazione del lavoro portuale, in relazione ai blocchi della Laguna provocati dal Mose.
Possibile che il problema emerga solo ora, a 17 anni dalla prima pietra che risale al 2003? In realtà era già stato previsto, ma poi è stato affrontato in un modo che riflette lo sviluppo della gestione del Consorzio Venezia Nuova, che ha risentito di ritardi ed errori, ed è poi stato travolto dallo scandalo delle tangenti nel 2014. È stata realizzata una “conca di navigazione” a Malamocco che consente alle navi di entrare in laguna grazie a una vasca di compensazione (lunga 384 metri e larga 50) e un sistema di giganteschi portelloni. Ma quella conca è andata fuori uso a causa di una mareggiata nel 2015, prima ancora di poter essere utilizzata. Ed è stata costruita con dimensioni troppo piccole per consentire il passaggio di navi da 320 metri. Un appalto assegnato alla ditta Cimolai di Udine prevede riparazioni ed interventi da effettuare. Ma non è stato ultimato, a causa di valutazioni di prezzo ritenute non congrue dagli amministratori straordinari del Consorzio Venezia Nuova nominati dopo lo scandalo delle tangenti. Inoltre, è aperto un contenzioso con costruttori e progettisti per la conca piccola e pericolosa, con una contestazione da 375 milioni di euro.
Pino Musolino, commissario straordinario del Porto, spiega: “La conca di navigazione va adeguata, per rendere sicuro e agevole il passaggio di navi fino a 320 metri di lunghezza. Serve in Laguna una centrale operativa, simile a quelle in funzione in alcuni porti del Nord Europa, che, a fronte delle informazioni ricevute dalla sala operativa decisionale del Mose, gestisca e programmi in tempo reale il traffico, coordinando le comunicazioni con tutti gli operatori portuali”. Il sindaco Luigi Brugnaro ha addirittura rinfrescato il progetto di un porto off shore, al largo del Lido: “Dico che è meglio che risolviamo noi il conflitto tra Porto e città: da una parte con il Mose che funziona, le persone vorranno stare all’asciutto, dall’altra è vero che se alzi sempre il Mose, uccidi il Porto. Formiamo piloti che ci dicano quali navi possono passare per la ‘conca’ e se c’è qualcosa da cambiare, penseremo a come farlo. Una proposta potrebbe essere il porto offshore per le merci, dentro ad un piano concreto pronto da 15 anni”. Già, ma se per fare il Mose hanno impiegato almeno 17 anni e speso 6 miliardi di euro, quando costerebbe un porto nuovo, al largo della costa?