Allo scoccare del primo mese di combattimenti, in Nagorno-Karabakh ci sono già più vittime di quante il conflitto non abbia provocato negli ultimi dieci anni. Quella che dagli analisti veniva considerata una guerra ‘congelata’ oppure ‘a bassa intensità’, dopo la prima fase (febbraio 1988-maggio 1994) in cui morirono oltre 30mila tra combattenti e civili, ha rialzato il tiro. Per una volta il numero delle vittime militari, circa 2mila (difficile tracciare il numero esatto), è preponderante rispetto a quelle civili, circa cento. Cifra, quest’ultima, che è cresciuta nelle ultime 24 ore.
Cifre affidate alle rispettive propagande filtrate dalle agenzie di informazione, in particolare l’Interfax, la Ria Novosti e la Itar-Tass. Questo per chiarire quanto forte sia ancora l’influenza russa nella regione di confine. Mosca resta al centro della scena diplomatica per dirimere la delicata questione dall’alto della sua influenza su entrambi i Paesi in guerra, l’Armenia e l’Azerbaigian. Così come per l’Italia, la Francia e altri Paesi occidentali, Vladimir Putin deve considerare la vicinanza storica, culturale e religiosa dell’Armenia, ma al tempo stesso non può far finta di niente in relazione alle partnership energetiche con la nuova ‘tigre’ mondiale, l’Azerbaigian della dinastia Aliyev.
La sua controparte principale è la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan che ieri sera è stato impegnato in una lunga telefonata proprio con il capo del Cremlino: “Ho parlato con Putin. Gli ho chiesto di mettere fine al conflitto in Nagorno-Karabakh, insieme possiamo riuscirci. La proposta è che lui ne parli con il premier armeno Nikol Pashinyan e io ne con il presidente azero Ilham Aliyev“, ha detto Erdogan. Secondo Mosca, invece, i due presidenti non hanno parlato di un possibile coinvolgimento di Ankara nei negoziati: “Nella conversazione telefonica che hanno avuto ieri sera, Putin ed Erdogan non hanno discusso di questo dettaglio specifico, pur dialogando sul conflitto in Nagorno-Karabakh – ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ripreso dalle agenzie russe – I temi principali della discussione sono stati la Libia e soprattutto la Siria e l’importanza degli sforzi congiunti per attuare gli accordi esistenti per stabilizzare la situazione a Idlib e oltre l’Eufrate”.
Tornando al Causaco meridionale, le ultime notizie confermano la ripresa dei combattimenti e il fallimento dei vari tentativi di cessate-il-fuoco proclamati negli ultimi dieci giorni dalle parti in conflitto. I negoziati per arrivare a uno stop definitivo delle ostilità sono fortemente limitati dalle accuse su un presunto coinvolgimento diretto della Turchia, sospettata di aver inviato miliziani siriani filo-turchi in supporto all’Azerbaigian. Ankara ha respinto le accuse, ma i dubbi restano fortissimi. Un comportamento ambiguo quello della Turchia, da sempre legata a Baku e ostile all’Armenia al di là del negazionismo rispetto al genocidio di oltre un secolo fa. Il suo appoggio, economico e militare, all’Azerbaigian appare evidente.
Nonostante ciò, nei giorni scorsi il portavoce del ministro degli Esteri turco, Hami Aksoy, ha invitato i responsabili del Gruppo di Minsk (l’organismo dell’Osce composto da Francia, Russia e Usa e costituito nel 1992 per trovare una soluzione al conflitto in Nagorno-Karabakh) ad avviare un processo negoziale per arrivare a una soluzione permanente del conflitto tra l’Armenia, in appoggio all’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, e l’Azerbaigian.
Resta da capire a chi convenga mantenere attiva una campagna militare nella strategica regione del Caucaso meridionale alla luce dei forti interessi economici ed energetici in ballo. Il motivo della contesa è esclusivamente questo e cozza con le mire geopolitiche del presidente azero Aliyev.
La crisi in Nagorno-Karabakh è in corso e le notizie che arrivano sono diffuse principalmente dai due fronti in guerra attraverso i rispettivi apparati di propaganda. Da una parte l’Azerbaigian che proprio oggi ha denunciato la morte di altri 59 soldati per un numero complessivo che supera le mille vittime. Nei giorni scorsi era stata la volta delle denunce indirizzate alla Corte dei Diritti Umani per gli attacchi missilistici sui civili nelle città di confine di Ganja e Barda da parte delle forze nemiche. La procura generale di Baku ha denunciato ieri la morte di 14 civili e il ferimento di almeno 40 a causa di un attacco da parte delle forze armate armene proprio a Barda. L’episodio fa salire il bilancio delle vittime civili azere a 69 con 322 feriti. Da parte sua, il portavoce della Repubblica dell’Artsakh, non riconosciuta a livello internazionale, ha riferito ieri che altri 59 dei suoi combattenti sono morti nel conflitto con le truppe azere facendo salire a 1.068 il totale dei caduti tra le sue fila dall’inizio delle ostilità. Un duro attacco dell’artiglieria sulle principali città e sui villaggi dell’Artsakh che oltre alle prime vittime ha provocato la fuga di migliaia di civili, riparati a Yerevan e nel resto dell’Armenia. Non va dimenticato che l’escalation bellica nel Caucaso è esplosa il 27 settembre scorso proprio per iniziativa azera, nel tentativo di riappropriarsi di una terra che i trattati internazionali considerano sua, ma che da più di un secolo è abitata dagli armeni del Nagorno-Karabakh. Trattati in antitesi con le decisioni ‘coloniali’ assunte dall’Unione Sovietica esattamente un secolo fa, quando Mosca decise di ‘regalare’ la porzione di territorio dell’alto Karabakh agli armeni.