L’Italia è già stata condannata dall’Unione europea a pagare 25 milioni di euro per la cronica emergenza depurativa in cui versa il sistema idrico del Paese. Il direttore generale dell'associazione: "Con le risorse dell'Ue devono essere finanziati interventi realmente cantierabili e utili al Paese e ai cittadini, come i depuratori, gli acquedotti o le reti fognarie"
In Italia oltre il 13 per cento dell’acqua potabile non arriva ai rubinetti, mentre in 18 città viene dispersa la metà di quella immessa nelle condutture. Anche a queste distorsioni è dovuta la cronica emergenza depurativa per la quale l’Italia è già stata condannata dall’Unione europea a pagare 25 milioni di euro, cui se ne aggiungono altri 30 ogni semestre di ritardo nella messa a norma. Nel corso della seconda edizione del ‘Forum Acqua: per un Servizio idrico integrato sostenibile’, organizzata da Legambiente in collaborazione con Utilitalia e Celli Group, l’associazione ha lanciato cinque proposte da mettere al centro del confronto sul Servizio idrico integrato, perché la risorsa idrica diventi uno dei pilastri del Piano nazionale di ripresa e resilienza. “Nella discussione sul Recovery plan italiano – ha dichiarato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – si continua a parlare di progetti lontani dai bisogni dell’Italia, come il tunnel sotto lo stretto di Messina o il confinamento geologico della CO2 nei fondali marini in alto Adriatico, di fronte la costa ravennate, ma non si mettono in programma gli interventi realmente cantierabili e utili al Paese e ai cittadini, come i depuratori, gli acquedotti o le reti fognarie”.
I NUMERI SULL’ACQUA – Ai primi posti in Europa e nel mondo per prelievi d’acqua potabile e consumo di minerale in bottiglia, infatti, l’Italia è fanalino di coda tra gli Stati Ue per tasso di investimenti nel settore idrico, con una media di 40 euro per abitante all’anno, secondo dati The European House-Ambrosetti. Il nostro Paese, inoltre, deve fare i conti con i circa 425 mila chilometri di infrastrutture della rete idrica obsolete, il 25% delle quali ha oltre 50 anni e il 60% supera i 30. C’è poi il capitolo perdite lungo la rete idrica: quelle maggiori si verificano nel Sud Italia, dove si disperdono 1,25 miliardi di metri cubi di acqua in più rispetto al Nord, pari alle esigenze idriche di 15 milioni di persone e le irregolarità nell’erogazione del servizio idrico interessano ben il 20,4% delle famiglie, di contro al 2,7% delle famiglie nel Settentrione. Nel Meridione si registra anche il maggiore grado di insoddisfazione per interruzioni della fornitura del servizio idrico, con picchi in Calabria (40,2%) e Sicilia (31,9%). Cinque le proposte lanciate dall’associazione, secondo cui l’acqua deve essere uno dei pilastri cui indirizzare le risorse del Recovery fund “attraverso un piano di investimenti destinato all’efficientamento e all’implementazione del Sistema Idrico Integrato”.
LE PROPOSTE DI LEGAMBIENTE – Un piano che preveda, in primis, “un ammodernamento della rete di distribuzione dell’acqua potabile ormai vetusta e l’abbandono della cronica emergenza depurativa attraverso la riqualificazione degli impianti esistenti e la costruzione di impianti nuovi e moderni”. Occorre completare il sistema di raccolta degli scarichi urbani, ma anche “realizzare interventi per separare acque industriali e di prima pioggia, destinandole a impianti idonei che ne permettano il riutilizzo o la reimmissione nell’ambiente naturale”. L’associazione propone poi di investire su ricerca e sviluppo di sistemi innovativi che permettano una maggiore diffusione di tecniche alternative. Altro step: introdurre in maniera ancora più incisiva delle misure per la ‘riqualificazione idrica’ degli edifici e degli spazi urbani. Ultimo tassello è il completamento della rete dei controlli ambientali, attraverso il rafforzamento del sistema nazionale di Protezione ambientale e l’approvazione dei decreti attuativi previsti dalla legge 132 del 2016 “per tutelare dall’inizio i corpi idrici dal possibile inquinamento”.