Durante il lockdown, tante persone che abitualmente non partecipano alla messa domenicale, pur dicendosi credenti, hanno riscoperto il tempo della preghiera. Basta vedere gli ascolti delle celebrazioni e dei rosari trasmessi quotidianamente dalla Rai, da Mediaset, da Tv2000 e via streaming. Su tutti, è rimasto sicuramente un momento storico la preghiera per la fine della pandemia che Papa Francesco ha fatto, il 27 marzo, in una deserta e piovosa piazza San Pietro.

Immagini che hanno davvero unito il mondo, ben al di là della stretta geografia cattolica, e hanno fatto percepire il vescovo di Roma come l’unico leader globale. Il digiuno eucaristico a cui tanti fedeli, italiani e non solo, sono stati costretti durante il lockdown, perfino nella Settimana Santa, ha sicuramente contribuito a rivalutare il valore e il significato della messa.

Stefano Proietti, giornalista presso l’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, ha voluto raccogliere tutte queste riflessioni in un agile e interessante libretto intitolato Il bandolo della matassa. 10 buone ragioni per andare a messa la domenica (Edb). Partendo dalla sua esperienza di genitore di tre figli, Proietti scrive che “a messa non si può andare per assolvere a un obbligo. Non può essere una tassa da pagare a un esattore esigente, né tantomeno una lusinga per compiacere un padre esigente”.

E aggiunge: “È talmente bello, arricchente, rigenerante partecipare alla celebrazione domenicale che non si può accettare di svenderla così, come se fosse merce di scambio da barattare con un quarto d’ora in più nell’ora di rientrare a casa o di spegnere il telefono”. Il giornalista allarga lo sguardo anche alla mancanza di vocazioni sempre più crescente in Italia come nel resto del mondo. “La necessità – scrive Proietti – di non far mancare preti alla Chiesa è talmente prioritaria che l’idea di conferire l’ordinazione sacerdotale a ‘viri probati‘, uomini di fede provata, forse anche sposati e con prole, non è più qualcosa di assolutamente impensabile”.

“Attenzione, – precisa il giornalista – non intendo affatto dire che ai preti dovrebbe essere consentito il matrimonio. Il celibato rimane una condizione fondamentale perché i chiamati al ministero ordinato possano essere pienamente dediti alla loro missione, sposi dell’intera comunità cui sono inviati e totalmente protesi verso l’annuncio del Vangelo e il servizio pastorale”. Ma aggiunge: “Se però il numero dei sacerdoti dovesse ancora rivelarsi insufficiente, come già accade in varie parti del mondo e come rischia di accadere sempre più anche in ampie zone della nostra Europa cristiana in crisi, pur di non lasciare la comunità senza la messa e i sacramenti probabilmente andrebbe valutata ogni ipotesi”.

Il cardinale presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, nella prefazione al libro di Proietti, ricorda le parole di Giuseppe Dossetti: “Che vale che io dica la messa se nessuno viene a messa e la mia testimonianza di fede non è tale da attirare la gente alla celebrazione eucaristica a cui ha diritto? Quindi alla fine, preti e non preti, anche se io ho dei poteri oggettivi, ministeriali al servizio della comunità, suppongono sempre la comunità nella fede”. Per Dossetti, “la forza, l’energia che deve essere posta al servizio dello spirito operante nella Chiesa è la mia fede, è il mio incessante rovesciamento interiore, il mio continuo trapasso dell’esperienza sensibile all’esperienza spirituale”.

Il porporato ricorda, inoltre, un altro episodio molto significativo: “‘Ho letto la messa. Ma sai che è più interessante di Sei personaggi in cerca d’autore?’. Aveva 18 anni Lorenzo Milani, rampollo di una famiglia bene, quando si imbatté in un vecchio messale, nella cappella sconsacrata di una villa di proprietà dei suoi. Lo lesse tutto d’un fiato e ne rimase così affascinato, da voler condividere quella confidenza con un suo ex compagno di liceo. Fiorì da quel primo seme, probabilmente, la vocazione sacerdotale di don Milani, che con la scuola di Barbiana avrebbe scritto una pagina indelebile nella vita della comunità cristiana, e non solo, della nostra Italia”.

Non bisogna dimenticare, infine, che molto si è scritto e detto in questi mesi di pandemia sulla partecipazione dei fedeli alla messa virtuale. Su questo, il Papa è stato molto chiaro: “Qualcuno mi ha fatto riflettere sul pericolo di questo momento che stiamo vivendo, questa pandemia che ha fatto che tutti ci comunicassimo anche religiosamente attraverso i media, attraverso i mezzi di comunicazione”. Aggiungendo che “questa non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre”.

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