I dati, ottenuti dal Ministero dell’Interno con un’istanza di accesso civico presentata dall'avvocata Ballerini, riguardano prevalentemente respingimenti effettuati tramite il refus d'entrée. Da gennaio a settembre le persone “rimbalzate" in Italia dalla polizia di frontiera francese sono di più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Si tratta in maggioranza di cittadini tunisini (1.510), a seguire chi proviene da Afghanistan (1.250), Pakistan (1.095), Marocco (960), Sudan (935), Algeria (930), Nigeria (680), Costa d’Avorio (595) e Mali (530)
L’emergenza sanitaria non ha fermato i respingimenti di migranti dalla Francia verso l’Italia. Anzi, se si rapportano i numeri a quelli dello scorso anno, considerando i quasi tre mesi di blocco totale della frontiera di Ventimiglia (con pochissimi tentativi di passaggio oltre frontiera), le persone “rimbalzate” in Italia dalla polizia di frontiera francese negli ultimi nove mesi sono di più. Dal primo gennaio a fine settembre, il numero ufficiale dei respingimenti operati dalla polizia francese al confine di Ventimiglia è di 12.045 persone. Questi dati, ottenuti dal Ministero dell’Interno con un’istanza di accesso civico avanzata dall’avvocata Alessandra Ballerini, riguardano prevalentemente respingimenti effettuati tramite il refus d’entrée, solo 115 sono le persone riaccompagnate fisicamente alla frontiera italiana dalla polizia francese.
Le persone respinte, spesso collettivamente e senza valutare le singole posizioni (in violazione del regolamento di Dublino che regola le migrazioni in Europa), sono in maggioranza provenienti dalla rotta balcanica, anche se non mancano persone in attesa della valutazione del proprio status di rifugiato o che, indipendentemente dall’esito della domanda di protezione, constatano la difficoltà a trovare un proprio equilibrio in Italia e tentano la fortuna in altri paesi europei. Guardando alla nazionalità di provenienza, con 1.510 espulsioni guida la classifica dei respingimenti la Tunisia, a seguire Afghanistan (1.250), Pakistan (1.095), Marocco (960), Sudan (935), Algeria (930), Nigeria (680), Costa d’Avorio (595) e Mali (530). Alla frontiera vengono respinte le persone con meno possibilità economiche, che sono costrette a tentare il passaggio a piedi o in treno e non possono permettersi i più efficaci passaggi in autostrada effettuati da passeurs che si comportano come delle agenzie di viaggio, con diversi pacchetti in base al budget di chi vuole passare la frontiera. Scorrendo la lista degli espulsi fornita dalla direzione centrale dell’immigrazione, si può verificare come la Francia abbia respinto persone provenienti da 89 diversi paesi extra-europei. Nel “mucchio” degli espulsi, uniti nel disagio dalla condizione di irregolarità (o mancanza) dei documenti, 13 cittadini italiani.
La media dei respinti è di 50 persone ogni giorno, un dato che corrisponde a quello riportato dai report informali condivisi dagli attivisti di Kesha Niya, che ogni giorno attendono le persone respinte dalla polizia francese per offrire conforto, un biglietto dell’autobus e la possibilità di mangiare e bere qualcosa dopo aver spesso passato la notte nei container senza cibo né possibilità di riposarsi, in barba alle norme igieniche e anti-contagio. Da qualche tempo sembrerebbe che la stessa polizia italiana abbia compreso “l’utilità” di questo servizio di orientamento e sostegno delle persone straniere, soprattutto alla luce della (contestata) chiusura dell’unico spazio istituzionale che consentiva una forma di gestione e ‘controllo’ delle persone in transito. La presenza dei volontari della Caritas Intemelia al mattino in centro e dei solidali alla frontiera garantisce una minima ma essenziale presa in carico di persone esauste e disorientate. Non solo la distribuzione di viveri, ma anche la spiegazione dei comportamenti da tenere in base alle restrizioni anti-contagio e la distribuzione delle mascherine si rivelano servizi preziosi che le istituzioni non sono in grado di garantire a persone in transito sul territorio.
Una forma di solidarietà che però non piace a tutti. In pieno lockdown, nei mesi in cui una direttiva della Soprintendenza rendeva impossibile ottenere le necessarie autorizzazioni paesaggistiche, qualcuno ha alzato una recinzione per impedire l’accesso allo spiazzo a lato strada dove sostavano volontari e attivisti, che da qualche mese hanno dovuto ritirarsi in un piccolo fazzoletto di terra, di proprietà pubblica, poco più in alto. Anche lì, recentemente, sono stati mandati alcuni operai dell’Anas (a loro dire su sollecito del Comune) per alzare una recinzione. Constatata l’impossibilità di aprire un cantiere in un luogo dove si trovano fisicamente i volontari con i cartocci di latte e termos di thè, frutta, pane e verdura, gli operai hanno preferito rinunciare all’intervento. Nella stessa occasione alcuni operatori della Digos, per la già descritta convergenza di interessi opposti (di controllo sociale per le forze dell’ordine, solidarietà per gli attivisti) hanno esplicitato ai solidali di comprendere e apprezzare le modalità con le quali operano, in particolare per lo sforzo di rispettare le normative anti-contagio, analogamente a quanto fanno la sera alla distribuzione di pasti caldi assieme ai francesi di Roya Citoyenne. Tuttavia “il terreno è dell’Anas e non possiamo farci nulla se hanno le autorizzazioni paesaggistiche e lo volessero chiudere” si sente in una registrazione del dialogo effettuata dagli attivisti di Kesha Niya e Progetto20k. Intanto, con l’arrivo del lockdown in Francia, è prevedibile che i passaggi si ridurranno e, con il perdurare dello stato di emergenza, anche le persone in transito dovranno rimandare i propri tentativi di ‘bucare’ il dispositivo di frontiera per inseguire il miraggio di una vita migliore.