La seconda fase della pandemia è in pieno svolgimento e, ormai assuefatti alle difficoltà, ci predisponiamo ad altre lunghe giornate in casa, al lavoro di smart working, se studiamo in Dad o se siamo madri, svolgendo anche il secondo e terzo lavoro in famiglia, con bimbi, mariti, cucina, pulizie ecc.
Speriamo non sia come la prima ondata che ci travolse, spingendoci in una fase di angosciosa attesa del cataclisma, con il bollettino montante di infetti, i morti, gli ospedali al collasso, i divieti assoluti, i runners inseguiti dai droni, spaesati in una vicenda più grande della nostra immaginazione.
Ora siamo alle prese con uno stato d’animo in parte diverso, dall’angoscia alla rassegnazione fatalistica che “adda passà a nuttata”, ma già sappiamo quale potrebbe essere il trend, almeno fino a febbraio, se nel frattempo non arriva, come promesso, “Babbo Natale vaccino”, ma sappiamo che potrebbe essere un’illusione e quindi restiamo calmi e non ci facciamo prendere dall’euforia.
Come invece sembra fare Donald Trump, ormai assediato dalla catastrofe che non ha voluto accettare e che oggi lo sta stritolando, mentre lui cerca disperatamente di contrastare ed esorcizzare con innaturale e illogico ottimismo la paura diffusa dei suoi concittadini.
Così ci avviciniamo alla fine di questo annus horribilis bisestile come si conviene nella più tradizionale delle tregende, sembrava ieri gennaio in cui festeggiavamo l’ingresso nel terzo decennio del nuovo millennio, rinfrancati dallo scampato pericolo di una vittoria leghista in terra emiliano-romagnola, per poi ritrovarci in men che non si dica nell’incubo di Alzano, e di mezza Italia squassata dalla più incredibile delle epidemie pensabili.
Ora che sappiamo come possiamo difenderci, che bisogna rispettare la trilogia “indossare la mascherina, mantenere la distanza (non sociale) e lavarsi le mani”, ora ci appare meno sopportabile il sacrificio di non poter andare al bar la sera, o al cinema, mentre per centinaia di migliaia di persone torna l’incubo di perdere il lavoro magari da poco a fatica ricominciato.
Sappiamo che la soluzione di questa crisi sarà un affare lungo, ma soprattutto che se non cambia il modello socio economico e non si va verso una società veramente diversa, in cui i diritti fondamentali sono garantiti – in primo luogo quello alla salute e ad una vita degna – non ci sarà pace sociale, perché non si può pensare che la gente accetti di soccombere, altrimenti sarà “mors tua vita mea” e allora si salvi chi può.
I sintomi di questa disgregazione ci sono tutti, è bastato l’ennesimo discorso fuori posto del Governatore della Campania per far esplodere la rabbia a Napoli, strumentalizzata o meno che sia, immediatamente replicata in tutt’Italia. Ovviamente la destra, in combutta con i gruppi di violenti, cerca di soffiare sul fuoco e di trarre vantaggio dal malessere. È solo un primo segnale di quel che può accadere, rendiamocene conto tutti prima che sia troppo tardi.
Emerge, in questa difficile situazione, la contraddittorietà inefficace dell’attuale rapporto Stato-Regioni mal gestito, l’acuirsi di differenze, di conflitti, di sperequazioni, mentre sarebbe necessaria come mai un’azione coerente di governo di un’emergenza complessa come questa. Ai profeti e difensori ad oltranza dell’autonomia differenziata occorre evidenziare questa evidente verità. Non servono a niente Regioni-principato!