Il rischio di un sovraccarico dei servizi assistenziali in massimo un mese e mezzo, la difficoltà di proteggere le categorie più fragili dal contagio e quindi la necessità di misure di contenimento “molto aggressive” e di “limitazioni alla mobilità”. È lo scenario 4, il peggior di tutti, ipotizzato dal documento “Prevenzione e risposta a Covid-19”, predisposto dal ministero della Salute, dall’Istituto Superiore di Sanità, dal Coordinamento delle Regioni e Province Autonome e contenuto nella circolare del 12 ottobre. “Trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo”: così il report sintetizza la situazione. Un quadro epidemiologico nel quale l’Italia rischia di ritrovarsi nel giro di qualche settimana se le norme anti-Covid varate dall’ultimo Dpcm, tarato sullo scenario 3, non dovessero produrre un raffreddamento della curva. A quel punto potrebbero scattare lockdown locali, ma non solo. Alcune Regioni già ora, infatti, hanno una situazione che richiederebbe – come ripetono insistentemente diversi scienziati, tra i quali il consulente di Speranza, Walter Ricciardi – l’attuazione di misure rigidissime per contenere l’epidemia.

Da un punto di vista della capacità del virus di infettare, lo scenario 4 prevede valori di Rt regionali “prevalentemente e significativamente maggiori di 1,5”. Una situazione che, si legge nel documento, “potrebbe portare rapidamente a una numerosità di casi elevata” e “chiari segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali, senza la possibilità di tracciare l’origine dei nuovi casi”. Non solo: “La crescita del numero di casi potrebbe comportare un sovraccarico dei servizi assistenziali entro 1-1,5 mesi”. Con una sola combinazione che potrebbe evitare il collasso delle strutture sanitaria: un virus che colpisce “prevalentemente” i più giovani e la capacità di “proteggere le categorie più fragili”, come gli anziani. Una possibilità che lo stesso documento ritiene di difficile attuazione: “Si rimarca che appare piuttosto improbabile riuscire a proteggere le categorie più fragili in presenza di un’epidemia caratterizzata da questi valori di trasmissibilità”.

In uno scenario del genere, si legge ancora nel documento, è “presumibile che molte Regioni e Province autonome siano classificate a rischio alto e, vista la velocità di diffusione e l’interconnessione tra le varie Regioni e Province autonome, è improbabile che vi siano situazioni di rischio inferiore al moderato”. Quindi l’avviso: “Se la situazione di rischio alto dovesse persistere per un periodo di più di tre settimane, si rendono molto probabilmente necessarie misure di contenimento molto aggressive”. La traduzione pratica, sotto il profilo degli interventi da attuare nei confronti della vita sociale e della scuola, sono elencati in maniera puntuale. E non differiscono di molto dal lockdown conosciuto a marzo, compresa la valutazione della necessità di “limitazione della mobilità individuale”.

Sarebbe infatti da valutare “restrizioni generalizzate” con “estensione e durata da definirsi” rispetto allo scenario epidemiologico. Nel caso in cui si scegliesse la chiusura solo delle aree più colpite, viene suggerito di introdurre anche “limitazioni della mobilità da e per zone interessate”. Le zone rosse, insomma. Prevista anche la chiusura di scuole e università, con l’attivazione della modalità di didattica a distanza. Da un punto di vista sanitario, invece, è prevista, come anche nello scenario 3 attuale, la “priorità delle azioni associate al Covid sulle altre attività del Dipartimento di Prevenzione”, l’attivazione di “personale aggiuntivo esterno a supporto” della gestione dei contagiati, una “priorità” ai soggetti sintomatici nell’attività di testing con il tampone, nonché la “rimodulazione ricerca attiva di Sars-CoV-2 con screening con priorità su categorie target di popolazione” il “potenziamento alberghi per isolamento casi”.

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