In giro per le strade delle città italiane non per consegnare pizza e sushi, ma per rivendicare i propri diritti. Da Milano a Firenze, da Bologna a Roma, Napoli e Palermo, oggi i rider che portano cibo a domicilio per conto dei colossi del food delivery sono in sciopero in venti città italiane. Una protesta contro l’accordo sottoscritto tra Assodelivery, l’associazione delle piattaforme come Glovo, Deliveroo e Just Eat, e il solo sindacato Ugl e che stabilisce un salario minimo di 10 euro all’ora, ma solo in considerazione del tempo effettivamente impiegato per fare le consegne. I tempi morti dunque non vengono pagati. Per i sindacati confederali e le unioni di base dei lavoratori si tratta di un cottimo mascherato che non migliora in alcun modo le condizioni dei fattorini. E mai come in questi giorni di coprifuoco per bar e ristoranti la protesta sarà amplificata, visto che dalle 18 è consentito solo l’asporto o la consegna a domicilio. “Chiediamo ai clienti di sostenerci e di non ordinare cibo da asporto per un giorno”, è l’appello di Tommaso Falchi di ‘Riders per i diritti’, la rete che ha organizzato la mobilitazione.

Con lo spettro di un nuovo lockdown il ruolo dei rider sta tornando centrale come in primavera. “Qualcuno ci ha definiti eroi, ma noi siamo precari che lavorano per tre euro a consegna e senza malattia”, dice Falchi. Un tema sollevato anche da Federconsumatori, che appoggia la protesta: “Oggi è grazie a questi lavoratori invisibili che molti cittadini non dovranno rinunciare al servizio di food delivery e che molti esercenti e ristoratori riusciranno a portare avanti la loro attività anche in questo momento difficile”, sostiene l’associazione. Chi invece si oppone alla mobilitazione è il sindacato Ugl, che ha lanciato l’hashtag #IoNonSciopero: “Tra i lavoratori c’è soddisfazione per l’accordo raggiunto. I rider mantengono l’autonomia necessaria per svolgere al meglio il lavoro, è un’ottima base di partenza per tutelare e dare nuovi diritti ai lavoratori del settore”.

Le piazze di oggi dovranno dare una risposta anche a questo. Torino, Firenze e Catania sono partite alle 11: nel capoluogo toscano il sindaco Dario Nardella ha portato la solidarietà del Comune ai ciclofattorini che manifestavano contro l’accordo definito “capestro“. “In questo momento particolare, nel quale a causa dell’emergenza Covid aumenta la richiesta di delivery di prodotti alimentari, lo sfruttamento può diventare ancora più intenso e ingiusto”, ha sottolineato. “Tutti i cittadini devono sapere i nomi di queste aziende e devono sapere cosa c’è dietro ogni volta che ordinano un pranzo, un panino, una pizza. Dietro c’è una situazione lavorativa che è davvero oltre il limite della tollerabilità dal punto di vista giuridico e sociale“. Milano e Roma scendono in piazza alle 16:30, chiudono in serata Bologna, Perugia, Bari e Palermo. Per la prima volta le sigle autorganizzate e i sindacati confederali saranno insieme, uniti dall’opposizione al contratto firmato lo scorso 17 settembre mentre era in corso una trattativa al ministero del Lavoro.

Il decreto Imprese del 2019 aveva concesso a sindacati e piattaforme 12 mesi di tempo per trovare un accordo, senza vietare esplicitamente il cottimo ma prevedendo una retribuzione non determinata “in misura prevalente” dal numero di consegne fatte. In queste maglie molto larghe si è inserito il nuovo accordo, che lo stesso ministero ha messo in dubbio in particolare per quanto riguarda la rappresentatività del sindacato Ugl, decisamente minoritario tra i rider. Le aziende però sono andate avanti per la loro strada e hanno iniziato a sottoporre il contratto ai fattorini con messaggi ricattatori che imponevano la firma pena la disattivazione dell’account. Il ministero ha più volte detto di voler convocare un tavolo per riaprire la trattativa, ma ad oggi i sindacati attendono ancora una chiamata.

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