Secondo l'accusa, le società coinvolte hanno creato un cartello di imprese collegate tra loro per pilotare l’assegnazione a loro favore degli appalti: un gruppo di aziende che avrebbe estromesso le imprese concorrenti e si sarebbe assicurato "illeciti profitti di ingente quantità". Gli investigatori hanno quantificato in 14 milioni di euro il giro d’affari pilotato dagli indagati solo nel giro di un anno tra il 2018 e il 2019
Chiuse le indagini sugli appalti pilotati per i grandi lavori sulle navi della Marina Militare nell’Arsenale di Taranto. I militari della Guardia di finanza hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini a 18 persone tra militari, imprenditori e dipendenti civili dello stabilimento militare. Tra gli indagati non c’è più il nome di Matteo Bisceglia, l’ammiraglio ispettore capo che fino al 18 settembre 2019 era al vertice di Navarm, la Direzione degli Armamenti Navali di Roma: il procuratore aggiunto Maurizio Carbone che ha coordinato l’attività investigativa delle fiamme gialle, ha evidentemente optato per l’archiviazione delle accuse che erano inizialmente state ipotizzate contro l’alto ufficiale.
Tra le persone ancora indagate figura invece il nome di Cristiano Nervi, ammiraglio comandante dell’arsenale ionico accusato di turbativa d’asta insieme a diversi imprenditori del settore navalmeccanico di Taranto: si tratta di Armando Di Comite, Angelo Raffaele Ruggiero, Alessandro Di Persio, Fabio Greco, Nicola e Gianluca Pletto, Giona Guardascione, Giacinto Pernisco, Pierpaolo Iaia e Antonio Sottile. Ad eccezione di Iaia e Sottile, inoltre, tutti gli imprenditori devono rispondere dell’accusa di associazione a delinquere, “per aver costituito e partecipato – scrive il pm Carbone nel capo d’accusa – ad un’associazione a delinquere promossa e diretta dall’imprenditore De Comite” che secondo le indagini era finalizzata alla “turbativa d’asta e corruzione aggravata”. Le imprese, in sostanza, avrebbero creato un cartello di imprese collegate tra loro per pilotare l’assegnazione a loro favore degli appalti gestiti dall’Arsenale e dalla Stazione Navale di Taranto: un gruppo di aziende che avrebbe estromesso le imprese concorrenti e si sarebbe assicurato “illeciti profitti di ingente quantità”. Gli investigatori hanno quantificato in 14 milioni di euro il giro d’affari pilotato dagli indagati solo nel giro di un anno tra il 2018 e il 2019.
L’inchiesta dei finanzieri guidati dal tenente colonnello Marco Antonucci ha inoltre portato alla luce anche l’operato del Tenente di Vascello Antonio Di Molfetta, ufficiale addetto al Servizio Efficienza Navi che si occupava della predisposizione di gare d’appalto o dell’affidamento di lavori per la riparazione di navi, in forza alla Stazione Navale del Mar Grande. Il nucleo di Polizia Economico finanziario della Gdf ha infatti scoperto che Di Molfetta scambiava l’affidamento di commesse a diversi imprenditori in cambio “di varie utilità” per la nuova abitazione acquistata nel centro di Taranto. Gli investigatori hanno elencato: “Opere murarie, sostituzione e installazione di infissi, porte e zanzariere, condizionatori, acquisto e installazione dei componenti di due bagni”. E poi ancora mobili come una madia, una libreria oppure la creazione di una cabina armadio e anche una cucina da 10mila euro. Il 20 febbraio 2020 furono 12 le persone che finirono ai domiciliari tra i quali anche i dipendenti civili Federico Porraro e Abele D’onofrio, quest’ultimo accusato di aver fornito al cartello i bandi di gara prima della loro pubblicazione ricevendo in cambio una tangente da 700 euro.