Madeleine: una data, un ricordo, un personaggio - La rubrica del venerdì de ilfattoquotidiano.it: tra cronaca e racconto, i fatti più o meno indimenticabili delle domeniche sportive degli italiani
Firenze: il destro angolatissimo che batte Landucci e riporta il Toro in partita e gli occhi degli spettatori al campo. È il 30 ottobre 1988. Inizia così l’avventura italiana di Antonio Luiz da Costa detto Müller, inseguito a lungo dai granata nell’estate 1988: sono riusciti a strapparlo alla Roma, al Napoli e ad altre grandi che avevano visto in quel centravanti con la faccia furba e i folti capelli ricci un talento da portare in Europa.
I granata erano andati benissimo l’anno prima con Radice: settimi in campionato perdendo l’accesso all’Europa nello spareggio, ai rigori contro la Juventus, e finalisti in Coppa Italia. Molti dei protagonisti di quell’annata erano però andati via: Corradini e Crippa al Napoli, Polster al Siviglia, Beggreen al Lyngby. La proprietà punta su un croato, Haris Skoro, e due brasiliani, Edu Marangon e appunto Müller. Non c’è dubbio che quest’ultimo, pagato circa 4 miliardi di lire, sia l’investimento principale, quello che fa sognare i tifosi e sperare la società.
E infatti non è per niente male: piedi buoni, un dribbling bruciante, è veloce, furbo. Ha pure un’altra qualità per cui viene notato: la fidanzata Jussara. Bionda ballerina brasiliana diventa spesso la distrazione principale di chi era in tribuna a vedere le partite. Pare anche di Gianni Agnelli, nei derby, che oltre ad apprezzare Jussara non disdegna la tecnica del marito.
Il ragazzo fa bene: il primo gol con la Fiorentina, in una gara vinta poi dai viola, una doppietta al Milan, una alla Roma, la firma su vittorie importanti, e 12 gol in stagione che però non evitano ai granata una drammatica e inaspettata discesa in B.
L’Avvocato, memore di Jussara e dei piedi buoni di Antonio, prova ad approfittarne chiedendolo in prestito, ma Borsano dice no. È un suo colpo, gli è affezionato ed è sicuro che diventerà un fuoriclasse. Tanto da sacrificare gli allenatori per lui, si racconta: dopo una panchina a Bologna, pare che il brasiliano al telefono con un amico abbia minacciato di tornarsene in Brasile e restarci e che Radice sia stato esonerato proprio dopo quella telefonata.
Qualche panchina Müller la merita pure: il genere, molto in voga a fine Anni 80, è di quelli che crede che il talento sia qualcosa che può compensare tutto, dai pochi allenamenti alle notti brave, e il brasiliano tra le bizze di Jussara e le discoteche di Torino, ne è un habitué. Pur avendo una sorta di reggia come abitazione preferisce sfoggiare la sua Ferrrari per arrivare nei club.
In ogni caso, Antonio resta al Toro anche in B: Fascetti lo mette al centro dell’attacco, di un forte attacco, e lui ripaga, seppur tra una fuga in Brasile e l’altra, con 12 gol che valgono la promozione. Intanto segna due reti decisive col Brasile ai Mondiali 90. Ma ormai è di troppo: alla caliente Jussara il Piemonte non piace e dopo 7 partite con Mondonico, condite da due gol, chiede a Borsano di essere ceduto al San Paolo nel mercato di novembre. “Ho perso la mia scommessa”, commenterà mesto il presidente, ma accontentandolo.
Ai paulisti regalerà nel 93 la vittoria nell’Intercontinentale contro il Milan, con il gollonzo del 3 a 2 finale: lancio bellissimo, al solito, ma troppo lungo di Cerezo, Rossi che esce a valanga e devia il pallone sul tacco di Müller che nel frattempo stava saltando per evitare il portiere. È gol: il San Paolo è campione del mondo. L’anno dopo Muller diventerà campione del mondo col Brasile nel 1994, pur giocando solo uno spezzone di gara ai gironi contro il Camerun e tornerà in Italia, portato a Perugia da Gaucci nel 1997, ma giocherà solo sette partite.
Poi la fase calante: il girovagare di club in club, i problemi finanziari per non aver saputo gestire la ricchezza del passato che lo portano a dormire ospitato dalla madre di un ex compagno di squadra Pavao, la crisi e l’addio burrascoso con Jussara, l’avventura da allenatore che gli va male e l’avvio di quella da predicatore. Pure parecchio colorito, dicono.
Torna a far parlare di sé quando a 49 anni rimette gli scarpini per una partita dilettantistica, in cui segna pure, e oggi sembra aver trovato la sua dimensione come commentatore televisivo per network brasiliani. Qualcuno scrive che si è fatto notare per le sue pérolas durante le cronache: dal portoghese, preferiamo tradurle letteralmente in “gemme”, quelle che tra qualche serata e le bizze di Jussara ha regalato anche in Italia.