Diversi americani sono preoccupati per possibili violenze successive alle elezioni presidenziali statunitensi. Alcuni hanno deciso di dar vita a dei gruppi di controllo della comunità, altri stanno lavorando alla riduzione dell’escalation dei conflitti mentre molti stanno acquistando armi. Le potreste potrebbero degenerare in disordini civili o persino conflitti settari.
Un esempio di queste preoccupazioni è arrivato nel Michigan con l’arresto di 13 persone per presunti complotti volti a rapire il governatore dello stato e attaccare l’edificio del Campidoglio. Negli Stati Uniti il primo semestre del 2020 è stato contraddistinto da un’impennata nell’acquisto di armi: lo dicono i dati forniti dal National Instant Criminal Background Check System (Nics) dell’Fbi, analizzati dal Brookings Institute di Washington.
Nei primi 130 giorni del 2020 la vendita di armi in America ha mosso 1.221.855.197 dollari. Nel 2019 si era abbondantemente sotto il miliardo, date le transazioni per 849.754.500 (+43,79%). Crescita notevole anche nel settore munizioni, che nella prima settimana di maggio 2020 ha fatturato 7.390.707 dollari. Rispetto al 2019 (2.406.310 dollari, +207,14%) gli incassi sono più che triplicati. Le vendite di armi da fuoco hanno però raggiunto il record mensile di 3,9 milioni a giugno, secondo i dati dell’Fbi, in concomitanza con il peggioramento dell’epidemia e con le proteste seguite all’uccisione di George Floyd.
“Non faccio parte di nessun gruppo, non voglio far parte di un gruppo, sono un ragazzo normale che guarda le notizie e che si sta davvero preoccupando”, ha detto Powell, 64 anni, di Raleigh, North Carolina. Ha detto di essere preoccupato per “antifa thugs”, un termine che i conservatori americani usano per descrivere dei teppisti, attivisti antifascisti di sinistra. Ha detto che è pronto a “fare la guardia” nella sua comunità, se necessario.
A Portland, Oregon, invece l’attivista di sinistra Dre Miller ha contattato i leader dei Proud Boys di destra per ragionare su una mediazione in grado di risolvere i conflitti. La principale “minaccia terroristica” che gli Stati Uniti devono affrontare, secondo un rapporto del 6 ottobre del Department of Homeland Security, sono i delinquenti solitari e le piccole cellule estremiste locali.
Un sondaggio di ottobre condotto dal Think Tank New America ha rilevato che circa un terzo degli americani ha giustificato la violenza per promuovere obiettivi politici, il doppio rispetto a dicembre 2019. Inoltre la situazione critica è amplificata dalla pandemia legata al Covid-19 con la consequenziale perdita di milioni di posti di lavoro, in grado di accelerare la mobilitazione di alcuni individui per violenze mirate o la radicalizzazione al terrorismo. A condizionare maggiormente la domanda in queste settimane è stata sicuramente anche la campagna per le elezioni del nuovo presidente degli Stati Uniti.
L’anno del voto per la Casa Bianca è spesso prolifico per il settore armi. Quest’anno lo è ancora di più: il ticket Joe Biden-Kamala Harris ha già annunciato un giro di vite per il comparto con l’avvento di una tassa di 200 dollari e di controlli molto più accurati per chi compra le cosiddette armi d’assalto semi-automatiche. Conseguenza di tutto ciò: le code alle armerie per comperarsene una prima dell’arrivo delle nuove norme in caso di vittoria dei candidati democratici.
Il tutto a favore di Donald Trump e della potente lobby americana del settore, la Nra (National Rifle Association) che si unirà ai sostenitori del Secondo emendamento creando un blocco di voto.
La partita tra Biden e Trump si gioca infine anche sulle armi nucleari. Biden si è opposto allo sviluppo della testata a bassa intensità W76-2, grande novità dell’arsenale americano. I repubblicani invece puntano alla modernizzazione dell’intero panorama di armamenti nucleari, un obiettivo che difficilmente Joe Biden potrà inserire in agenda.