Cultura

Lo Scaffale dei Libri, la nostra rubrica settimanale: diamo i voti, da Michael Connelly ad Andrea Vitali

di Davide Turrini e Ilaria Mauri

NESSUNO SCRIVE AL FEDERALE - 2/3

Stessa storia, stesso posto, stesso bar. Pardon, stesso lago. Bellano, novembre 1929. Chi ha già letto almeno un altro romanzo di Andrea Vitali sa bene che questo ameno paesino della sponda lecchese del lago di Como è tutt’altro che un posto tranquillo come si potrebbe pensare. E infatti, ritroviamo tutti, ma proprio tutti, i nostri bellanesi “di fiducia” alle prese con l’ennesimo fattaccio. A guidare le indagini c’è, neanche a dirlo, lui, il maresciallo Ernesto Maccadò. In Nessuno scrive al Federale (Garzanti) lo ritroviamo fresco papà del piccolo Rocco, è costretto a dividersi tra casa e caserma, tra dovere professionale e smania di controllo per quell’esserino che sua moglie, la Mariastella, non vedeva l’ora di dare alla luce. E poi, in incognito, c’è lei, la Scudiscia, la perpetua del paese, che, dalla sua posizione privilegiata in canonica, osserva, trama e complotta perché, come le diceva sempre sua nonna, “le sciagure vengono sempre a tre alla volta”. Siamo in piena epoca fascista e – come già si intuisce dal titolo – e il protagonista della storia è proprio il segretario della sezione locale del partito, tale Caio Scafandro (non c’è storia, come inventa bene i nomi Vitali pochi altri), un pezzo d’uomo disposto a tutto per tenersi quell’incarico. Sì, perché nel suo passato qualche fantasma c’è e caso vuole che il Federale abbia deciso proprio di mettersi a ficcanasare. E così, complice suo malgrado il postino del paese, Erminio Fracacci, il nostro Scafandro se ne inventa di ogni per tenersi il posto, coinvolgendo anche quella zitella della Fusagna Carpignati. Ma quando una mattina un oggetto metallico colpisce in testa il maresciallo Maccadò per lui le cose iniziano a mettersi male. Un romanzo appassionante e “confortante”, proprio così, che mette il lettore a suo agio fin dalla prima riga della prima pagina, facendogli ritrovare quei personaggi a lui familiari, forse anche troppo. Come sempre, anche quest’ultimo racconto di Andrea Vitali scorre fluido, pacato, rimbalzando da un personaggio all’altro tra intercalari lombardi e credenze popolari tipiche dell’epoca. L’impianto narrativo è ormai rodato, forse quasi scontato per gli “aficionados”, ma, inspiegabilmente, di Bellano e dei suoi coloriti abitanti non ci si stanca mai. E, soprattutto di questi tempi, costituisce un’ottima pausa dalla realtà. Voto (affezionatissimo): 8.

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