Un lockdown mirato, solo per i più deboli. Cioè gli anziani. In modo da ridurre la pressione sulle terapie intensive e il tasso di letalità del Covid 19, permettendo al tempo stesso di evitare i contraccolpi economici di una nuova chiusura generalizzata delle attività non essenziali. In questi giorni di ansia per l’andamento dei contagi la proposta, che gli esperti hanno preso in considerazione già durante la prima ondata di coronavirus, sta raccogliendo sostenitori anche in Italia. Sulla carta sembra la soluzione ideale: si tutelano i fragili, si preserva il sistema sanitario, si evita un nuovo crollo del pil. Ma tradurla in pratica, come ammette anche chi promuove l’idea, si scontra con la situazione abitativa dei 3,2 milioni di famiglie (480mila sono il Lombardia) in cui gli over 65 convivono con figli e nipoti. Non solo: Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e consigliere della Società italiana di gerontologia e geriatria, avverte che una decisione del genere rischia di avere conseguenze gravissime – “mortali” – sulla psiche e sul fisico degli anziani. Lo ha mostrato il primo lockdown, che “ha avuto conseguenze anche drammatiche sulla loro salute. Subirlo di nuovo, e in questa ipotesi essere gli unici a subirlo mentre gli altri sono liberi di muoversi, creerebbe un enorme disagio”. A tirare le somme è uno studio pubblicato due settimane fa su Lancet: “L’isolamento prolungato di ampi strati di popolazione è praticamente impossibile e altamente non etico”.

Chi sostiene la proposta e perché – Un distanziamento sociale rafforzato per gli anziani è stato ipotizzato già a marzo dal Covid 19 Response team dell’Imperial College di Londra. E a maggio quattro accademici del Mit sono arrivati alla conclusione che lockdown differenziati per gruppi di rischio “consentono una forte riduzione dei danni economici o della mortalità in eccesso o di entrambi”. Per il presidente della Liguria Giovanni Toti quell’idea è vincente, anche se più che all’isolamento assoluto pensa a “fasce dedicate esclusivamente a chi ha più di 70 anni” nei negozi e “tariffe agevolate per i taxi”. Per la virologa Ilaria Capua invece va “vagliata” l’ipotesi di un confinamento vero e proprio degli anziani. I motivi (sempre in teoria) sono evidenti. Un ricercatore dell’Ispi, Matteo Villa, ha appena pubblicato uno studio in base al quale “sarebbe sufficiente isolare gli ultra-ottantenni per dimezzare o quasi la mortalità diretta del virus”. Mentre “se riuscissimo a isolare efficacemente gli ultra-sessantenni, la mortalità scenderebbe allo 0,07%, circa dieci volte inferiore” allo scenario di base. Quanto alle terapie intensive, nella regione più colpita – la Lombardia – l’isolamento degli over 60 ridurrebbe “di quasi i tre quarti la pressione sul Sistema sanitario”. “Separare i giovani dagli anziani” è anche il suggerimento degli economisti Carlo Favero, Andrea Ichino e Aldo Rustichini, collaboratori de lavoce.info, visto che “su oltre 37mila morti per Covid-19, solo 409 avevano meno di 50 anni e solo 19 meno di 30″.

Il problema logistico: 3,2 milioni di over 65 vivono in famiglia – Sono però gli autori stessi a riconoscere che esiste un problema logistico quasi insormontabile. Gli over 60 in Italia sono 17 milioni, quasi un terzo della popolazione. E “molte persone anziane vivono assieme a persone più giovani, e più della metà di loro vive entro un chilometro di distanza dai propri figli”, scrive Villa. Una situazione molto diffusa soprattutto al Sud: stando agli ultimi dati Istat, nella Campania dove oggi il virus dilaga il 17% degli over 65 (362mila persone) vivono insieme ai familiari. In tutte le regioni meridionali la percentuale supera il 14%, con l’eccezione della Sicilia (13%). In Lombardia, la regione con il maggior numero di contagi e di residenti, la quota si ferma all’11% che equivale però a quasi 500mila persone. Il totale italiano arriva a 3,2 milioni di over 65 conviventi con familiari più giovani. Metterli tutti nei Covid hotel? I costi sarebbero “proibitivi”, ragiona il ricercatore Ispi, senza contare che “rischierebbero di agire come nuovi luoghi in cui l’infezione possa provocare contagi di massa, come è avvenuto in molte rsa”. Per risolvere il problema Favero, Ichino e Rustichini arrivano a ipotizzare che il governo possa “offrire voucher che consentano ai giovani che vivono insieme agli anziani di trasferirsi nei numerosi alberghi vuoti e mangiare nei ristoranti attualmente senza clienti. Suggerimenti “non certamente facili da implementare”, ammettono.
A questo va aggiunta una considerazione non secondaria: non è affatto detto – Villa riconosce anche questo – che l’isolamento selettivo sia efficace. Se si infettano anche le suore di clausura, è evidente che basta qualsiasi minimo contatto con l’esterno per correre dei rischi. E un “minimo contatto” sarebbe inevitabile, per la consegna di cibo, medicine e beni essenziali.

Il geriatra: “Sugli anziani avrebbe effetti drammatici. Fino a un aumento della mortalità” – Immaginiamo che si possa fare. Davvero è il modo migliore per tutelare i fragili dal virus? Per il geriatra Trabucchi l’idea va respinta al mittente. “Il primo aspetto è etico e clinico”, spiega al fattoquotidiano.it. “I dati scientifici sono ancora in via di elaborazione, ma io e i colleghi abbiamo osservato durante e dopo il lockdown primaverile conseguenze drammatiche per gli anziani. Depressioni, paure, alterazione del gusto e dell’assunzione di cibo con conseguenti perdita di peso e di voglia di vivere, gravi problemi di sonno. Con effetti pessimi sulla qualità della vita. Una sofferenza psichica e somatica che sarebbe ulteriormente amplificata se isolassimo solo loro mentre gli altri sono liberi di uscire. Non c’è dubbio che potrebbe aumentarne la mortalità”. A questo va aggiunta “l’accelerazione del decadimento cognitivo causata da stress e mancanza di stimoli”. Un quadro che non migliora per chi vive il lockdown in coppia, anche perché “il rapporto può essere reso difficile” dall’assenza di rapporti con il resto del mondo. Il secondo aspetto, continua l’esperto, è strutturale: “Abbiamo verificato che non c’è una rete funzionante a livello territoriale. I medici di famiglia sono pochi, le Usca quando disponibili sono utilissime ma il più delle volte sono affidate a medici giovani, molto bravi, ma affidare la vita di tutti gli anziani italiani a equipe di cura non così esperte è rischioso. C’è il rischio di trascurare le patologie non Covid”. Meglio, secondo Trabucchi, un lockdown soft che colpisca tutti allo stesso modo, cercando di tutelare il più possibile “il lavoro e la scuola” ma senza “discriminazioni” per fasce di età.

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