Muro contro muro e nulla di fatto. Finisce con un aggiornamento nella giornata di lunedì (e la firma del nuovo Dpcm con tutta probabilità martedì) il vertice tra i rappresentanti delle Regioni, dei Comuni e delle Province, alla presenza dei ministri della Salute, Roberto Speranza, e degli Affari Regionali, Francesco Boccia, per discutere le nuove misure che il governo – dalle 16 alle 21 Conte è stato in riunione con capidelegazione e ministri – dovrà adottare per cercare di arginare l’aumento dei contagi da coronavirus in Italia che in poche settimane hanno fatto registrare una preoccupante impennata. Tra le proposte ci sono centri commerciali chiusi nel weekend, la chiusura dei musei, coprifuoco alle 18 (voluto dai governatori), stop agli sportelli per le scommesse in bar e tabaccherie, restrizioni alla mobilità regionale e tra regioni, chiusura delle scuole in base all’indice di contagiosità Rt locale (e didattica a distanza in tutta Italia forse anche per le medie). E ancora: bar e ristoranti chiusi anche a pranzo nelle regioni con tasso di contagi a rischio (Lombardia, Piemonte e Calabria), smart working nella Pubblica amministrazione, salvo i servizi pubblici essenziali e, sempre nelle aree a rischio, stop anche ai distributori automatici. Tra i provvedimenti allo studio, su proposta delle Regioni, c’è inoltre anche quello per limitare gli spostamenti degli over 70: è una delle ipotesi prospettate da Lombardia, Piemonte e Liguria. Con l’aggiunta del governatore lombardo Attilio Fontana che chiede che le “misure siano omogenee” in tutto il Paese e avvisa: “No ai lockdown locali, se si ferma Milano si ferma la Lombardia”. In serata, però, fonti del governo hanno assicurato che le presunte limitazioni agli spostamenti degli anziani sono del tutto infondate.

Netto l’intervento del ministro della Salute Speranza: “Possiamo anche alzare l’asticella nazionale su alcuni punti condivisi” rispetto alle misure per l’intero paese stabilite dall’ultimo Dpcm, e poi “su alcuni territori alziamo i livelli di intervento”. Una dicotomia che rappresenta di fatto la distanza tra governo e territori. Conte e i governatori sono d’accordo sulla richiesta di misure più restrittive ma, in base a quanto si apprende da fonti della maggioranza, a differenza di quanto vogliono i presidenti di regione, il premier è orientato a modularle in base alla diffusione territoriale del Covid, più che a varare provvedimenti di carattere nazionale. Una posizione, quella del capo del governo, ribadita anche nella riunione con i capidelegazione, a cui è stata riportata anche la proposta dei territori. “Non possiamo mettere in discussione quel che ieri sera era un dato acquisito – ha detto la ministra di Iv Bellanova – A indici di rischio differenti complessivamente intesi devono corrispondere misure diverse. Perché inciderebbe in modo restrittivo anche dove non serve. Ognuno assuma le sue responsabilità”. Quanto all’ipotesi di chiusura del commercio al dettaglio alle 18, la capo-delegazione di Iv si è detta fortemente contraria: “Chiudere i negozi alle 18 produrrebbe solo maggiore intasamento, e dunque maggiori rischi per i lavoratori e i clienti, esattamente quello che va scongiurato”.

La nota delle regioni: “Incontro riservato, indiscrezioni fuorvianti” – Nel tardo pomeriggio, invece, la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha diramato una nota per spiegare che “l’incontro, di carattere riservato, aveva lo scopo di condividere dati e portare avanti un ragionamento comune fra i diversi livelli istituzionali della Repubblica in vista di provvedimenti ulteriori per fronteggiare e contrastare il diffondersi della pandemia”. E fin qui è cronaca. I governatori, però, denunciano una sorta di fuga di notizie: “Ampi passaggi della interlocuzione dei presidenti delle regioni sono stati però decontestualizzati, estrapolati, in qualche caso anche travisati – si legge nella nota – e pubblicati da alcune agenzie di stampa, creando le condizioni per un disorientamento dell’opinione pubblica e non certo quelle per una informazione aderente ai fatti”.

Governatori in ordine sparso – Resta il fatto che nel giorno in cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella chiede “unità”, si è registra una nuova mancata sintesi nella gestione della pandemia, con tre Regioni del Nord guidate dal centrodestra, tra le più colpite dalla seconda ondata, a capitanare lo strappo. E idee diverse sono state espresse anche dai presidenti di Campania, Umbria, Puglia, Calabria. Tutto nelle ore in cui il ministro Speranza, in un colloquio con il Corriere, non ha esitato a definire “terrificante” la curva epidemiologica. “Quel che mi preoccupa è il dato assoluto, che mostra una curva terrificante. O la pieghiamo, o andiamo in difficoltà. Abbiamo 48 ore per provare a dare una stretta ulteriore“, ha detto il ministro. Le prime 24 ore passeranno senza un nulla di fatto. Il vertice è destinato a un aggiornamento nella giornata di lunedì, con il conforto dei dati più aggiornati del Comitato tecnico scientifico. “Ringrazio presidenti e sindaci per la costruttiva disponibilità a collaborare andando anche oltre le proprie opinioni politiche; andiamo avanti unitariamente”, il messaggio del ministro Boccia. “Così si dà un senso pieno e compiuto alla parola istituzione – ha aggiunto – Il lavoro di confronto sul prossimo Dpcm proseguirà nelle prossime ore con il ministro Speranza per trovare al più presto le misure più opportune per mettere sempre più in sicurezza l’Italia”.

L’analisi dei dati – Gli esperti, a quanto si apprende, hanno dato indicazione di prudente valutazione, rimandando a martedì in una nuova riunione l’analisi dei dati dell’Iss e sottolineando anche che per poter assumere nuove misure occorre prima valutare l’impatto di quelle precedenti che normalmente necessitano di 14-21 giorni, anche se alcuni indicatori sembrerebbero dare segnali positivi di un rallentamento della crescita impetuosa della curva. Inoltre il Cts ha evidenziato la necessità di seguire una strategia omogenea negli interventi su tutto il territorio nazionale visto che molte delle indicazioni date finora non sono state attuate da Comuni, Province e Regioni, come ad esempio l’implementazione dei trasporti. Secondo il Comitato tecnico scientifico, è necessario lavorare in maniera incessante ma con un approccio uniforme per rendere operative risorse come i Covid hotel e drive-through nelle zone dove queste strutture non stanno funzionando bene. Nel corso della riunione di ieri è stata inoltre sottolineata la necessità di guardare con attenzione ai problemi a livello sub-regionale e quindi provinciale.

Misure mirate nelle regioni più colpite – Sul tavolo quindi restano gli interventi mirati nelle zone più colpite dalla seconda ondata di coronavirus, in special modo in tutte quei territori dove l’indice di contagio Rt ha toccato o superato la soglia di 1,5. Misure caldeggiate dal Cts, possibili già sulla base delle regole attuali, ma di fronte alle quali le Regioni nicchiano. Favorevoli invece i sindaci, con il presidente dell’Anci Antonio Decaro che durante il vertice ha chiesto che le chiusure siano pianificate in maniera chiara sulla base del rischio, così come era previsto nel documento del Comitato tecnico scientifico condiviso da governo e Regioni: quel documento individuava i diversi livelli dell’indice Rt in cui dovevano scattare le diverse restrizioni, dalla didattica a distanza a scuola, alla riduzione degli orari delle attività economiche. In questo modo – avrebbe spiegato Decaro – i cittadini sono coinvolti in un percorso trasparente e rispettano le restrizioni: indice Rt sale, scattano le limitazioni, indice Rt scende, si allentano.

La gaffe di Giovanni Toti – Le Regioni sotto osservazione sono certamente la Lombardia e il Piemonte, ma probabilmente anche la Liguria, l’Umbria, la Puglia, la Calabria, la Sicilia e la Campania. Ma le opinioni contrastanti restano. A far sentire la sua voce è in particolare il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, che in una nota sui social scrive che “il Paese non può permettersi un nuovo lockdown”, suggerendo invece di intervenire sulla categoria più fragile, gli anziani. “Proteggendo i nostri anziani di più e davvero, la pressione sugli ospedali e il numero dei decessi diventerebbero infinitamente minori. Sarebbe folle richiudere in casa tanti italiani per cui il Covid normalmente ha esiti lievi, bloccare la produzione del Paese, fermare la scuola e il futuro dei nostri giovani e non considerare alcun intervento su coloro che rischiano davvero. Speriamo ci sia saggezza stavolta e non demagogia“, scrive. Per Toti si tratta di un tema che “nessuno sembra voler affrontare e che potrebbe essere risolutivo. La maggior parte dei pazienti gravi nei nostri ospedali e purtroppo anche dei morti che piangiamo ogni giorno è composta da persone sopra i 75 anni. E per quanto ci addolori ogni singola vittima, non possiamo non tenere conto di questo dato. Solo ieri tra i 25 decessi della Liguria, 22 erano pazienti molto anziani. Si tratta di persone che sono per fortuna per lo più in pensione, non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese ma essendo più fragili vanno tutelate in ogni modo”. Parole che hanno provocato una reazione sdegnata da parte di utenti e centrosinistra.

“Milano non deve fermarsi” – Il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, sostiene invece che “la diffusione del virus è uniforme in tutto il Paese. Le differenze riguardano l’ampiezza del tracciamento che varia da regione a regione”. E per questo chiede che, “una volta verificato l’impatto delle misure già adottate sulle curve del contagio, ulteriori azioni di contrasto al virus dovranno a loro volta essere uniformi. Una serie di interventi territorio per territorio, polverizzati e non omogenei, sarebbero probabilmente inefficaci e anche incomprensibili ai cittadini, che già oggi sono disorientati”. Insomma, venendo alla parte pratica, otto mesi dopo Alzano e Nembro: “Il lockdown è l’unica misura che si è dimostrata efficace, se possiamo andare avanti con altre misure non determinanti procediamo ma se i tecnici ci dicono che l’unica alternativa è il lockdown facciamolo, ma no a un lockdown territoriale perché se fermiamo Milano si ferma la Lombardia”.

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