In queste ore si discute se chiudere o meno le scuole per limitare il contagio da Covid-19. Sull’argomento l’autorevole rivista scientifica britannica Lancet ha pubblicato pochi giorni fa uno studio condotto dall’università di Edimburgo. La ricerca ha analizzato i dati di Covid-19 di 131 nazioni per valutare l’impatto che i provvedimenti sulla scuola avrebbero sulla trasmissione del virus. “La riapertura delle scuole potrebbe aumentare la trasmissione del 24% dopo 28 giorni e la loro chiusura da sola potrebbe ridurre la trasmissione del 15% dopo 28 giorni”, si legge nello studio. I ricercatori fanno però notare che “nell’ analisi non siamo stati in grado di tenere conto delle diverse precauzioni relative alla riapertura della scuola che sono state adottate da alcuni Paesi”.
Con ‘precauzioni’ gli studiosi fanno riferimento alla distanza fisica all’interno e al di fuori delle classi, resa possibile da numeri ridotti di studenti, divisori trasparenti o maggiori controlli come il rilevamento della temperatura all’ingresso e migliori abitudini igieniche. “Non siamo stati inoltre in grado di valutare l’effetto della riapertura di diversi livelli di scuola, per esempio scuole elementari e medie. L’effetto potrebbe essere differente all’interno delle diverse fasce di età di bambini e adolescenti che frequentano le scuole”, spiegano gli autori. Si legge ancora nello studio: “La chiusura delle scuole è stata ampiamente adottata in precedenza per controllare i focolai di influenza e le pandemie, ed è stato dimostrato che riduce e ritarda i picchi di epidemie. Per Sars-Cov-2, il ruolo dei bambini nella trasmissione non è ancora chiaro. Uno studio cinese ha mostrato che la chiusura delle scuole da sola non potrebbe interrompere la trasmissione, ma potrebbe potenzialmente ridurre il picco di incidenza del 40-60% e ritardare l’epidemia di Covid-19″. Un’ altra ricerca ha rilevato che i bambini di età inferiore ai 5 anni con Covid-19 da lieve a moderato avevano elevate cariche virali nel rinofaringe rispetto ai bambini più grandi e agli adulti, e quindi potevano essere potenzialmente importanti fattori di trasmissione nella popolazione.
A rilanciare lo studio apparso su Lancet è stato il virologo dell’Università San Raffaele di Milano, Roberto Burioni, sul suo sito MedicalFacts. Alla pubblicazione ha fatto eco, il giorno dopo, il tweet del primario dell’ospedale Sacco, Massimo Galli: “Secondo uno studio pubblicato in Lancet Infectious Diseases sui dati di #covid-19 di 131 nazioni, riaprire le scuole incrementerebbe il numero riproduttivo dell’infezione del 18% in 14 giorni e del 24% in 28 giorni. Non sono stati calcolati i rischi per grado di scuola”.
Intanto in Gran Bretagna, dove il lockdown dal 5 novembre a 2 dicembre chiuderà tutto tranne le scuole, il sindacato dell’ Unione nazionale dell’istruzione fa partire una call to action per chiedere al governo di includere nel blocco anche gli istituti scolastici e i college. Eccezion fatta, spiega il sindacato su Twitter, per i figli dei lavoratori chiave e per i bambini vulnerabili. L’Unione nazionale dell’istruzione cita a sostegno gli ultimi dati dell’ufficio di statistica nazionale (Ons), secondo i quali l’1% degli alunni della scuola primaria e il 2% degli alunni della secondaria hanno il virus, mostrando inoltre come questi livelli siano aumentati dall’apertura più ampia a settembre. L’analisi del sindacato infine riporta che i livelli di virus sono adesso nove volte più alti tra gli alunni della scuola primaria e 50 volte più alti tra gli alunni della scuola secondaria.