Le vignette di Charlie Hebdo sono state probabilmente la miccia per gli attacchi terroristici in Francia e ora in Austria. Il terrorismo jihadista non è mai morto, si era semplicemente decentralizzato in Africa. Ora è tornato a farsi sentire in Europa approfittando della situazione pandemica e di uno scarso livello di sicurezza in alcuni luoghi. Questa volta è toccato a Vienna che nel 2017 era riuscita a scampare ad un attentato grazie alle forze antiterrorismo che bloccarono in tempo un 17enne, sospettato di essere uno jihadista, Lorenz K., nome di battaglia Abou-Chacker, che stava pianificando un attacco alla rete della metropolitana viennese.

Questa volta invece l’attacco è andato a buon fine e ha trovato Vienna impreparata a tale evento seppur Ramazan Demir, imam attivo nelle carceri austriache per sette anni, abbia raccontato da tempo in un libro la gravissima sottovalutazione del fenomeno dell’estremismo islamico nelle carceri austriache da parte del governo di Vienna: “Ho scritto questo libro affinché gli austriaci conoscano la verità sulle condizioni nelle nostre carceri e naturalmente spero che la politica risponda finalmente agli abusi che ho denunciato”. E ancora, “si tratta di prigionieri che si comportano discretamente prima ma poi mutano in bombe a orologeria. Improvvisamente spinti dall’odio, parlano di voler commettere omicidi”.

I presunti jihadisti hanno rilasciato una dichiarazione in cui rivendicavano la responsabilità dell’attentato di Vienna, affermando che gli omicidi sono “parte del conto” che l’Austria deve pagare per essere parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti contro Daesh, secondo il Site Intelligence Group – una società americana che afferma di monitorare le informazioni e l’attività degli estremisti.

Il primo attacco è avvenuto vicino alla sinagoga a Schwedenplatz di Vienna e ad alcuni uffici della comunità ebraica, secondo i media austriaci. L’assalto sarebbe stato opera di diversi attentatori, uno dei quali con una cintura esplosiva è stato ucciso. Di sicuro gli attentatori erano ben addestrati e l’operazione è stata ampiamente premeditata.

Il timore della minaccia jihadista in Austria non risale sicuramente alla scorsa notte. Quello che incide maggiormente secondo Lorenzo Vidino, uno dei massimi esperti in terrorismo, è la presenza in Austria dei Fratelli Musulmani che hanno avuto una qualche forma di contatto con vari apparati dello Stato austriaco. Questi contatti potrebbero essere stati occasionali o permanenti e vanno dai livelli inferiori dell’apparato statale (es. piccole agenzie a livello locale) fino ai vertici dello Stato austriaco. Insomma l’ambiente dei Fratelli Musulmani non rappresenta un attore isolato.

Nel marzo 2017 il magazine News pubblicò alcuni abstract dei sermoni radicali tenuti da l’imam egiziano della moschea Attaysir di Vienna, Zakaria Mohamed, contro cristiani, ebrei e atei. Le notizie hanno poi evidenziato i collegamenti tra Mohamed e vari leaders politici dell’IGGÖ, che secondo quanto riferito controlla la moschea Attaysir, così come con la Liga Kultur Verein. Questo non vuol dire che tutte le entità all’interno del governo abbiano costantemente sostenuto il mondo dei Fratelli Musulmani né che non siano mai stati contestati dal governo, ma alcuni legami con parti dell’establishment austriaco hanno avuto un impatto potenzialmente negativo sulla società austriaca.

Di sicuro la centrale operativa in Austria resta Graz dove tra l’altro diversi anni fa si insediò Ayman Ali, medico ed ex vice-presidente della Federazione dell’Organizzazioni Islamiche in Europa (FIOE), sin da quando lavorava per organizzazioni islamiche impegnate nei soccorsi durante la guerra dei Balcani. Ayman Ali è in seguito balzato alle luci della ribalta durante la presidenza Morsi quando nel 2012 venne nominato membro dell’Assemblea costituente egiziana e portavoce del Presidente, prima di finire in carcere.

Da ultimo non dimentichiamo che in occasione della guerra in Siria più di un centinaio di foreign fighters partirono dall’Austria per arruolarsi nelle fila di Daesh tra cui anche diverse donne e che oggi l’Austria si trova a dover fronteggiare il ritorno in patria di questi soggetti.

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