Perché si vota il 3 novembre, cosa accade nel caso di grandi elettori infedeli e cosa succede il 20 gennaio 2021. Vademecum per capire le elezioni presidenziali negli Stati Uniti
Il numero su cui si gioca la sfida fra Donald Trump e Joe Biden è 270. È questa la soglia dei grandi elettori (538 in tutto) che uno dei due candidati dovrà superare nell’Election day del 3 novembre per conquistare la Casa Bianca, in un’elezione sulla quale quest’anno come non mai pesano le incognite del voto per posta, al quale hanno fatto ricorso decine di milioni di elettori. E non è detto che il candidato che vince il voto popolare, raccogliendo più suffragi a livello nazionale, sia poi quello che ottiene il maggior numero di grandi elettori, l’unico che davvero conta per conquistare la Casa Bianca. Come accaduto nel 2016 ad Hillary Clinton che ha conquistato quasi 3 milioni di voti in più, ma non è arrivata alla soglia dei 270 grandi elettori. Ecco quello che c’è da sapere per capire come funzionano le elezioni negli Stati Uniti: dai requisiti per diventare presidente alla logica del “winner takes all”.
Cosa si vota nell’Election Day – L’elezione del presidente è indiretta. In palio alle urne ci sono i cosiddetti ‘electoral votes’. Gli americani quindi il 3 novembre voteranno per decidere quanti ‘grandi elettori’ andranno a Donald Trump e quanti a Joe Biden. Proprio i grandi elettori, riuniti nel Collegio Elettorale, il 14 dicembre saranno chiamati all’elezione vera e propria del presidente e del vicepresidente. Nel giorno dell’election day si rinnova inoltre la Camera (House of representatives, 435 seggi) e un terzo del Senato (che si rinnova per 35 membri su 100). Si eleggono inoltre 13 governatori e molte assemblee legislative statali. Il giuramento del nuovo presidente è previsto per il 20 gennaio 2021.
Perché si vota il 3 novembre – Il Congresso ha stabilito nel 1845 che si votasse sempre il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre quattro anni dopo l’ultima elezione del presidente. Una scelta del mese legata alle radici fortemente agricole del paese – a novembre si era concluso il raccolto e le strade non erano ancora bloccate dalla neve – e una scelta del giorno legata al fatto che, calcolando che la domenica era dedicata alla chiesa, molti degli elettori che vivevano nelle zone più remote non sarebbero riusciti a raggiungere i centri dove si votava in tempo il lunedì. Secondo la Costituzione i requisiti per diventare presidente sono tre: un’età superiore ai 35 anni, essere nati negli Stati Uniti e risiedervi da almeno 14 anni.
I grandi elettori – Sono 538 e dopo il voto andranno a formare lo United States Electoral College. Ogni Stato Usa ne assegna un certo numero (sotto quanti vengono assegnati a ciascuno Stato). Per conquistare la Casa Bianca c’è bisogno di almeno 270 grandi elettori, vale a dire la metà più uno. Il numero dei 538 grandi elettori è fissato facendo la somma tra il numero dei senatori (100, due per ogni Stato) e dei deputati (435, assegnati proporzionalmente alla popolazione di ogni singolo Stato). A questi vanno aggiunti i tre delegati che spettano al District of Columbia, dove si trova la capitale federale Washington.
Inserito nella Costituzione americana dai ‘Founding fathers’ come un elemento teso a tenere lontana dalle elezioni “le passioni popolari”, il sistema del Collegio elettorale si basa sull’idea che l’elettore esprimendo il proprio voto in realtà non vota il candidato ma una serie di grandi elettori, a lui collegati, che eleggeranno effettivamente il presidente in un secondo momento. Eletti nei singoli stati in numero proporzionale alla popolazione, i grandi elettori corrispondono alla somma dei deputati e senatori che rappresentano lo stato al Congresso.
La regola del “winner takes all” – I voti elettorali vengono aggiudicati all’interno di ciascuno stato con un sistema maggioritario secco (‘winner takes all’): il candidato che vince in uno Stato ottiene la totalità dei grandi elettori di quello Stato e sceglie delle persone di fiducia che potranno confermare la sua elezione. I grandi elettori, infatti, votano in segreto e in teoria possono assegnare il proprio voto a chiunque. Tuttavia, salvo rare eccezioni, ognuno di loro vota il candidato che li ha designati, e le loro preferenze vengono confermate dal Congresso agli inizi di gennaio. Fanno eccezione Nebraska e Maine, gli unici due stati che hanno scelto di assegnare i loro voti elettorali, rispettivamente cinque e quattro, con il sistema proporzionale. In tutti gli altri stati il vincitore prende quindi tutto anche se per uno scarto minimo di voti.
L’ipotesi – In caso di parità fra i ‘grandi elettori’ (come accaduto nel 1800 e nel 1824) a decidere è il Congresso degli Stati Uniti. La decisione viene demandata alla Camera dei rappresentanti che sceglie il presidente fra i tre candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti elettorali. La delegazione di ciascuno stato alla Camera deve esprimere un solo voto, e se non riesce ad avere una maggioranza al suo interno, il suo voto non verrà conteggiato. Diventa presidente chi ottiene la maggioranza dei voti degli Stati, che è 26. Le elezioni presidenziali sono state decise due volte dalla Camera: nel 1800, quando Thomas Jefferson e Aaron Burr ottennero ciascuno 73 voti del Collegio Elettorale e Jefferson vinse solo al 36esimo ballottaggio. E nel 1824 Andrew Jackson ottenne 99 voti elettorali, John Quincy Adams (che aveva in effetti avuto più voti popolari) 84, William Crawford 41 e Henry Clay 37, dal momento che nessuno aveva raggiunto la maggioranza, decise la Camera e vinse Jackson al primo ballottaggio.
I tradimenti dei grandi elettori – Tra gli scenari un possibile tradimento del suo candidato da parte di un grande elettore al momento della riunione del Collegio elettorale, che avviene, secondo la legge, il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del mese di dicembre. Quest’anno il 14 dicembre. Nella storia americana, anche più recente, non sono mancati questi ”tradimenti”. Nel 1988, per esempio, Margaret Leach, elettrice del candidato democratico Michael Dukakis – che fu nettamente sconfitto da Ronald Reagan – votò invece per il candidato alla vice presidenza, il senatore Lloyd Bentsen. Mentre nel 1976 fu un grande elettore repubblicano dello stato di Washington che invece di votare per lo sconfitto Gerald Ford votò, anticipando i tempi, per Reagan. Anche nel 2000 ci fu una sorpresa, ininfluente ai fini dei risultati: in segno di protesta per il modo in cui era stata condotta l’elezione un grande elettore di Al Gore votò scheda bianca.
Stato per Stato – Il numero degli elettori in ogni Stato è uguale a quello dei membri del Congresso che rappresentano ciascuno Stato.
Ecco il numero dei grandi elettori di tutti e 50 gli Stati più il distretto di Columbia:
– California 55
– Texas 38
– Florida e New York 29
– Illinois e Pennsylvania 20
– Ohio 18
– Georgia e Michigan 16
– North Carolina 15
– New Jersey 14
– Virginia 13
– Washington 12
– Arizona, Indiana, Massachusetts e Tennessee 11
– Maryland, Minnesota, Missouri e Wisconsin 10
– Alabama, Colorado e South Carolina 9
– Kentucky e Louisiana 8
– Connecticut, Oklahoma e Oregon 7
– Arkansas, Iowa, Kansas, Mississippi, Nevada e Utah 6
– Nebraska, New Mexico e West Virginia 5
– Hawaii, Idaho, Maine, New Hampshire e Rhode Island 4
– Alaska, Delaware, District of Columbia, Montana, North Dakota, South Dakota, Vermont e Wyoming 3.