Nel mio campo evito le previsioni, perché ho un conto in sospeso con il concetto di predicibilità, tuttora aperto nonostante gli anni spesi al capezzale della dinamica caotica. Un amico mi ha però stuzzicato, ricordando che in un post del maggio 2016 avevo avvertito con parecchio anticipo la reale possibilità, anzi il fondato timore che Donald Trump sarebbe potuto diventare il 45mo presidente degli Stati Uniti: “Un pronostico per oggi?”. Accetto la sfida, precisando che, se rifuggo l’onere del previsore idrologico, per me la politica è un’arte sconosciuta e indosso qui l’abito dell’indovino da fiera: non per caso gli idraulici insigni, impaludati nei panni dell’astronomo, hanno volgarmente etichettato come astrologi i poveri idrologi mei pari.

Mai il mondo scientifico si è schierato così compatto in politica come ha fatto nel tentativo di scongiurare la rielezione di Donald Trump. Un sondaggio specifico, pubblicato il 29 ottobre 2020 dalla rivista Nature sulla base di quasi mille interviste, si è risolto in un plebiscito per Joe Biden, gratificato da uno straordinario, bulgaro 86 percento delle preferenze degli scienziati, pochissimi dei quali si dichiarano favorevoli al presidente in carica: un misero 8 percento. E la ragione politica indica in cambiamenti climatici e pandemia i temi più sentiti, soprattutto dai ricercatori residenti negli Stati Uniti.

L’approccio di Trump al Covid-19 è solo un esempio del danno che il presidente ha inflitto alla scienza e alle sue istituzioni negli ultimi quattro anni. Con l’aiuto del suo staff, egli non solo ha invertito lo sforzo iniziato dall’amministrazione Obama per ridurre le emissioni di gas serra, ma anche indebolito le norme anti-inquinamento del suo paese; e diminuito il ruolo della scienza presso l’Agenzia per la protezione ambientale.

In altre agenzie governative, l’amministrazione ha minato l’integrità scientifica, sopprimendo o distorcendo le prove contrarie alle proprie decisioni politiche. E l’ultima ordinanza presidenziale che facilita il licenziamento dei dipendenti non allineati che lavorano nelle agenzie federali, sa un po’ di ultima bordata nella guerra quadriennale al mondo scientifico intrapresa dall’amministrazione conservatrice.

Se, nel campo delle scienze della Terra, gli studiosi del clima accusano l’amministrazione Trump di aver soppresso la scienza, più in generale il mondo scientifico rimprovera al presidente di aver eroso la posizione dell’America nel mondo attraverso politiche e retoriche isolazioniste.

E, chiudendo le porte a molti visitatori e immigrati non europei, ha reso gli Stati Uniti sempre meno accoglienti per gli studenti e i ricercatori stranieri. Demonizzando le associazioni internazionali come l’Organizzazione mondiale della sanità, Trump ha anche indebolito la capacità dell’America di rispondere alle crisi globali e ha isolato la scienza del suo paese. Insomma, la luminosa promessa di “American first” si è presto trasformata in “America apart”.

Sono perciò d’accordo con Derek Thomson, che lo stesso 29 ottobre ha scritto su The Atlantic che “il 2020 non sarà la seconda puntata del 2016”. Vincerà, Biden vincerà. Non solo per le cinque ragionevolissime motivazioni con cui Thomson trasforma un auspicio personale in un pronostico, ma per le stesse ragioni che, nel 2016, avevano indicato Donald Trump quale possibile vincitore: il mancato di rispetto dell’elettorato chiave, la low-middle class che lo ha lanciato nel 2016, abbastanza diversa dal manipolo di terrappiattisti, suprematisti, fondamentalisti disposti tuttora a sostenerlo anche con le cattive. E, in democrazia, le promesse non mantenute da chi, come Trump, ha comandato anziché governare, fanno crollare anche le leadership più solide.

Comunque vada a finire, dopo aver iniziato il millennio con due presidenti entrati in carica a 56 e 46 anni, rispettivamente George W. Bush e Barack Obama, gli americani eleggeranno presidente un pre-babyboomer assai ageé: nel 2021 Biden compirà 79 anni. Ma neppure Donald Trump sarebbe da meno: è un baby-boomer che ne fa 75.

Una prospettiva in perfetto contrasto con la retorica della Legge della vita di Jack London che tanto piace ai negazionisti pandemici. E con le riflessioni sul ruolo degli anziani – “non indispensabili allo sforzo produttivo del paese” – recentemente twittate dal governatore della Liguria, fresco del trionfo elettorale di settembre.

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