Domenica primo novembre 2020, ore 11 e 58.

Il presidente di Regione Liguria, Giovanni Toti, impegnato a discutere con il governo e i propri colleghi sulle politiche per contenere la seconda ondata pandemica, dice la sua in materia di priorità. Difatti twitta: gli over 70 “non sono indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Ergo, sacrificabili.

Apriti cielo! Tutte le anime belle del Paese, produttive e non, insorgono sdegnate contro le parole di questo “signore” baciato dalla fortuna di amministrare una regione troppo piccola e ormai economicamente marginale perché nei mesi scorsi il sistema informativo si accorgesse che – con la Lombardia – ormai risulta la “maglia nera” in quanto a contagi. Sempre questo signore che è stato rieletto plebiscitariamente il settembre scorso grazie al karakiri di un’opposizione che non aveva nessun desiderio di vincere le elezioni, nonostante l’iniziale contendibilità della carica. Ossia battere quella Destra para-salviniana che nel ciclo amministrativo precedente si era distinta soltanto per la svendita della sanità pubblica (sulla scia di chi la aveva preceduta, ma anche inseguendo lo screditato/malfamato “modello lombardo”, caro all’uomo Mediaset Toti) e propugnando demenziali ricette in materia di turismo tipo Disneyland alla Briatore; nella presunzione di attrarre su una striscia costiera di fragile bellezza petroldollari arabi e/o rubli di oligarchi post-sovietici.

Suicidio – quello del centro-sinistra ligure – annunciato e lucidamente perseguito; di cui uno dei massimi promotori è stato l’Andrea Orlando, interessato ben più alla normalizzazione del Pd locale che ad assicurare corsi politici alternativi a un territorio in totale caduta libera. Quell’Orlando che oggi suona la diana dell’indignazione per le altrui parole politicamente scorrette. Ma cosa aspettarsi da uno come lui, funzionario in carriera nel PC spezzino, partito alla conquista di un posto al sole romano?

Specularmente si può dire: perché tanto sdegno stupefatto per l’ignobile battuta totiana? Quando è soltanto rivelatrice di una verità assolutamente palese, qualora la si voglia vedere: se a siffatti personaggi si solleva solo un lembo della maschera di affabile benevolenza con cui nascondono il loro vero profilo etico, salta fuori tutto l’orrore di un cinismo all’ennesima potenza. Quello schifare la cittadinanza democratica che portava il loro vero mentore e ispiratore – Silvio Berlusconi – a teorizzare che “il pubblico è un bambino di dodici anni, neppure troppo intelligente”. Gente intrisa di un profondo disprezzo verso chi non bazzica il circuito del privilegio e della ricchezza ostentativa, a cui hanno avuto accesso tramite scalate – al tempo – spregiudicate e servili. Gente che si identifica con la nuova borghesia cafona, le cui dovizie hanno origini non sempre troppo chiare. Nel caso, il club della politica come ascensore sociale che registra iscrizioni spudoratamente trasversali.

Del resto era il presidente francese – il socialista François Hollande – a definire i dropout “gli sdentati”; e l’allora premier Matteo Renzi “sfigati” quelli che avevano perso il loro posto di lavoro.

Niente di nuovo sotto il sole. Dal tempo in cui Étienne de la Boétie, il grande amico di Montaigne, stigmatizzava il combinato tirannia/servitù in personaggi che si innalzano “grazie a favori o vantaggi, guadagni o imbrogli”. Solo che in questi ultimi decenni l’ideologia accaparrativa dominante ne ha legittimato gli istinti peggiori. Quell’ondata ideologica divisiva e diseguagliatrice, proveniente dal mondo anglosassone, che ha diffuso il culto della ricchezza a qualunque costo e svilito a “invidia sociale” ogni barlume di critica dei suoi eccessi.

In fondo il Toti straparlante e imprudente ha solamente espresso ciò che realmente pensa. I (dis)valori del mondo di parvenu “con i piedi al caldo”, che non sa che farsene dei poveracci e si pone solo il problema di come tenerli a bada.

Molti che ora lo criticano – sotto, sotto – ragiona esattamente allo stesso modo.

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