Bancarotta fraudolenta, indebita compensazione di imposte con crediti inesistenti, autoriciclaggio e reimpiego, reati di falso e di ostacolo alle funzioni di vigilanza della Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio Professionistico della Figc
Avrebbero dovuto rilanciare il Palermo calcio. Ma gli amministratori si erano ‘limitati’ a saccheggiare le casse del club rosanero. Anche facendo ‘carte false’ e presentando fideiussioni, con garanzie che gettano delle ombre sulle origini dei pochi soldi investiti. Conducendo gli investigatori nel cuore del narcotraffico romano. Stamattina però i militari della Guardia di Finanza hanno arrestato i fratelli Tuttolomondo, Walter di 65 anni e Salvatore di 53 anni, entrambi originari di Portici (Napoli), ma accolti a Palermo in pompa magna per risanare i resti della gestione di Maurizio Zamparini. Adesso sono accusati di bancarotta fraudolenta, autoriciclaggio ed altri reati. Inoltre il gip Loenzo Iannelli ha stabilito l’obbligo di firma per quattro professionisti, accusati di aver spalleggiato i due. Si tratta Roberto Bergamo, 62enne di Padova per un periodo amministratore del Palermo calcio, Tiziano Gabriele, di 48 anni, presidente del collegio sindacale di Albano Laziale e Antonio Atria, legale originario di Castelvetrano, in passato coinvolto in dei rivoli investigativi sul latitante Matteo Messina Denaro e adesso accusato di essere a disposizione dei Tuttolomondo. Inoltre è stato eseguito un sequestro preventivo del valore di 1.395.129 euro. Nel provvedimento è coinvolto anche un altro professionista, che nel frattempo è deceduto.
L’indagine della Procura di Palermo – con procuratore aggiunto Salvatore De Luca, sostituti procuratori Dario Scaletta e Andrea Fusco – ha documentato prelievi e operazioni finanziarie ad alto rischio, composto da un sottobosco di colletti bianchi letteralmente ‘a disposizione’ dei due fratelli Tuttolomondo. La gestione del club di via del Fante era formalmente affidata alla Arkus Network. Formalmente i due non avevano alcun ruolo nella società. Ma il vero ‘dominus’ era Salvatore Tuttolomondo, che anche in’interviste ed incontri ufficiali non ne faceva mistero. Il loro ‘asso nella manica’ doveva essere la compensazione di alcuni crediti tributari provenienti da altre società, che durante le indagini si sono rivelati falsi. Un metodo suggerito dal consulente Fabio Anzellotti, anche lui tra gli indagati assieme a Flavio Persichini, prestanome romano che per fare l’amministratore unico del Palermo calcio venne pagato con un compenso di tremila euro. Quando le cose iniziarono ad andare male però Tuttolomondo presentò delle denunce, in cui descriveva un furto nella sede romana della Arkus, durante la quale i ladri avrebbero lasciato la scritta “Forza Palermo”. Ed anche delle “minacce telefoniche pronunciate in accento palermitano“, di cui non c’è traccia nelle intercettazioni di quei mesi.
Il blitz è soltanto l’ultimo dei tasselli necessari per ricostruire la gestione finanziaria del Palermo calcio, già approfondita in altre indagini. Per alcuni mesi i due fratelli riuscirono ad ingannare tifosi e addetti ai lavori, protestando anche contro l’esclusione dalla Serie B. Ma leggendo i documenti raccolti dai militari del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo e del nucleo speciale di polizia valutaria con base a Roma, emerge tutta un’altra storia. Con soli 10 euro avevano rilevato una società in stato di insolvenza, ma con la prospettiva di una promozione in Serie A e un ‘tesoretto’ da 40 milioni di euro derivanti da sponsor e diritti tv. Il 24 giugno 2019 la società inviò copia di alcune fideiussioni le ricevute dei “pagamenti degli emolumenti dovuti ai tesserati, lavoratori e dipendenti”, elencando i vari compensi erogati ai calciatori. Dalle analisi della Covisoc (la commissione di vigilanza sulle società di calcio) però emerse che i modelli F24 depositati erano falsi. Il 18 ottobre 2019 la società è stata dichiarata definitivamente fallita, ma già da alcuni mesi i militari della Guardia di Finanza avevano avviato le intercettazioni sull’intera cerchia di amministratori.
Per tentare l’iscrizione nel campionato di Serie B, i fratelli Tuttolomondo avevano presentato una fideiussione della Ic Lev Ins, una compagnia di assicurazione bulgara, che già all’epoca era finita nel mirino della magistratura per delle false polizze assicurative. Per ottenerla, i fratelli Tuttolomondo avevano versato 45mila euro alla società intermediaria Evc, del broker assicurativo Carlo Camilleri, subentrato ad un altro intermediario. Quando l’operazione fallì, i fratelli denunciarono l’assicuratore, ma nel frattempo provarono a recuperare i soldi investiti tramite Adamo Castelli, uno dei narcos arrestati nel novembre 2019 durante il blitz ‘Grande raccordo criminale’ sulla banda gestita dall’ultras della Lazio, Fabrizio Piscitelli detto ‘Diabolik, ucciso in un agguato. In una telefonata intercettata Castelli diceva “adesso ci ridanno i soldi nostri”, rivendicando la paternità dei 45 mila euro. Poi il romano venne arrestato, ma secondo il gip di Palermo “sorgono dubbi sulla liceità della provenienza dei soldi investiti nell’Us Città di Palermo”. Quest’ultimo filone però è ancora top secret.