La previsione di una notte elettorale lunga e combattuta è stata confermata. Mentre si procede verso l’alba di mercoledì, gli Stati Uniti non hanno un vincitore ufficiale delle elezioni presidenziali. Donald Trump appare però favorito. È riuscito a mantenere la presa sugli Stati conquistati nel 2016 e appare fortemente competitivo anche in quelli in cui il risultato è ancora aperto. In particolare, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin restano in grave ritardo nello scrutino. Nei tre Stati, soprattutto in Pennsylvania, non sono stati conteggiati migliaia di voti espressi per posta e con il voto anticipato. In alcune aree, come quella di Philadelphia, il ritardo riguarda anche lo scrutinio dei voti espressi nella stessa giornata elettorale. È probabile che la cosa si allungherà per ore, forse giorni. In Pennsylvania si dovrebbe riuscire a scrutinare buona parte dei voti entro venerdì. Stessa cosa per il Michigan. Il Wisconsin dovrebbe invece fare meglio e concludere il conteggio entro mercoledì a mezzogiorno.
Un primo giudizio politico è comunque possibile darlo. Trump ha mantenuto senza grandi difficoltà gli Stati che aveva già vinto nel 2016: Florida, Georgia, North Carolina, Ohio. Il Texas appare sicuramente oggi meno “rosso”, repubblicano di un tempo, ma anche qui il sorpasso dei democratici non è avvenuto. Non c’è stato quindi quel passaggio dei voti dei sobborghi urbani da Trump a Biden, che alcuni si attendevano. Né il voto delle donne, dei giovani, degli afro-americani, è riuscito davvero a dare a Biden lo slancio che i democratici speravano. Come già nel 2016, il voto potrebbe però essere deciso dagli Stati della ex “blue wall”, il muro democratico che Trump era riuscito a infrangere nel 2016 conquistando Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. Anche qui, le speranze democratiche di ritrovare consensi tra la classe operaia bianca non sembrano essere state confermate.
Un elemento importante viene dalla Florida, che Trump ha conquistato con ancora maggior agio rispetto al 2016. Decisivo, da questo punto di vista, il voto nella contea di Miami-Dade, dove i democratici sono riusciti a prevalere ma con una netta emorragia di voti rispetto a quattro anni fa. Si sapeva che il candidato democratico avrebbe avuto difficoltà con il voto ispanico. Ma nella contea di Miami-Dade ha sicuramente funzionato l’argomento polemico usato da Trump contro Biden, cioè quello di essere “un socialista”. Il vasto elettorato di origine cubana e venezuelana ha dato credito all’accusa del presidente e voltato le spalle ai democratici.
Da una prima analisi del voto, sembra anche che abbia funzionato lo slancio finale della campagna di Trump, che in decine di comizi soprattutto negli Stati contesi ha cercato di suscitare la stessa passione e il medesimo entusiasmo che gli fecero conquistare la Casa Bianca nel 2016. Se il voto anticipato e quello per posta hanno premiato i democratici, nella giornata elettorale il presidente è riuscito in modo massiccio a portare i suoi a votare. Le notizie di imponenti registrazioni al voto di repubblicani in molte aree della Florida, del North Carolina, del Michigan, dimostrano che l’aumento dell’affluenza al voto non ha riguardato soltanto i democratici ma anche molti repubblicani e conservatori, motivati dai quattro anni di governo di Trump. La polarizzazione della società e dell’elettorato americano si è rivelata una potente ragione di voto per i repubblicani.
Per il resto, valgono due considerazioni. In molti Stati i sondaggi davano l’economia, e non il Covid, come principale ragione di preoccupazione dell’elettorato. Da questo punto di vista, l’appello del presidente all’America sembra aver almeno in parte funzionato. E cioè, la promessa che l’economia, finita l’emergenza sanitaria, tornerà a crescere come è cresciuta, sotto Trump, nei tre anni precedenti. Un aiuto al presidente è probabilmente venuto anche dai dati sulla crescita del Pil, con un rialzo di oltre il 7 per cento nell’ultimo trimestre. Una buona percentuale di americani ha creduto a Trump e (forse) gli ha ridato la vittoria.
L’ultima considerazione riguarda il candidato democratico. Non sembra davvero aver funzionato la scelta di un politico dell’establishment del partito, non dotato di particolare visione né personalità, che per buona parte della campagna elettorale è rimasto chiuso nella sua casa del Delaware e ha fatto pochissimi eventi elettorali. Non è ancora possibile valutare l’affluenza al voto divisa in gruppi sociali, etnici, demografici, ma non sembra che giovani, donne, afro-americani (per non parlare degli ispanici) abbiano davvero premiato la scelta di un candidato centrista e moderato, che doveva in qualche modo raccogliere tutte le anime del partito e dell’elettorato, dai moderati alla sinistra radicale. In altre parole, non pare, sulla base dei dati che abbiamo in possesso, che abbia funzionato la scommessa democratica: e cioè, impostare queste elezioni come un referendum su Donald Trump, ritenendo la scelta di un proprio candidato una questione secondaria. Joe Biden, almeno questo ci dicono i numeri che abbiamo davanti, non ha davvero dato all’America una visione forte, alternativa rispetto a quella di Donald Trump, tale da lanciare i democratici verso la conquista della Casa Bianca.