A Milano il sistema di tracciamento dei positivi è saltato definitivamente. Una nuova direttiva impartita ieri ai medici di famiglia dichiara apertamente la resa, anticipata tre settimane fa da ilfattoquotidiano.it per bocca di Vittorio Demicheli, il direttore sanitario dell’ATS Milano. La direttiva dispone che i tamponi d’ora in poi non vengano più prescritti per i contatti stretti dei positivi. Diramato ieri a tutti i medici di medicina generale, il documento inchioda la resa a questi numeri: “Ogni giorno rileviamo diverse migliaia di nuovi casi (quasi 4.000 nei giorni scorsi, 20 volte superiori al dato di fine settembre), con una progressione che purtroppo è estremamente rilevante. Accanto all’aumento del numero di positivi si registra un’equivalente crescita delle segnalazioni quotidiane di sintomatici da voi inserite nel nostro portale, che stanno superando la soglia di 10.000/die da diversi giorni di seguito”, scrive il Direttore Dipartimento Cure Primarie Galdino Cassavia. Una situazione che “sta generando una forte sofferenza nella possibilità di prenotare ed eseguire in tempi adeguati il tampone per la ricerca dell’RNA Virale”.

Non è solo colpa del virus, ma anche della risposta inadeguata che la Regione ha messo in campo su questo fronte. La circolare non lo dice con queste parole, ma il senso non è equivocabile: “Nonostante i laboratori abbiano raddoppiato la produzione nell’ultimo mese (in ATS vengono effettuati ora 75.000 tamponi alla settimana), i tempi di attesa si stanno inevitabilmente dilatando, rendendo certamente più complessa l’attività di sorveglianza e tardiva quella diagnostica”. La stessa circolare rivela il ritardo con cui sono state assunte le contromisure.

“Come fatto sin dalla metà del mese di agosto, ATS sta continuando ad operare con laboratori ed erogatori per incrementare l’offerta di tamponi, ma questo intervento non consente da solo di fronteggiare la criticità generata con la recrudescenza della pandemia”. Quel “sin dalla metà di agosto” significa che il potenziamento è partito tardi, visto che già ad aprile l’associazione dei medici di base della Lombardia Anao Assomed aveva lanciato l’allarme sull’insufficienza di dispositivi, reagenti e laboratori. In pratica nella fase 1 e 2 non si è fatto molto su questo fronte, tanto che nella fase 3 – con gli indici che portano Milano e la Lombardia in zona rossa e conseguente lockdown – arriva la resa.

Cosa rimane? “Alla luce di questo contesto – si legge ancora nella direttiva ai medici – e per riportare, almeno per i casi sintomatici, l’offerta del tampone entro tempi accettabili, è essenziale la collaborazione dei Medici e dei Pediatri di Famiglia, anche per evitare che comportamenti non appropriati dei cittadini possano ulteriormente aggravare la situazione”. Segue vademecum, al primo punto viene indicato come indorare la pillola a quanti pretendessero di fare un tampone. La risposta è: “Spiegare agli assistiti che per il momento è opportuno sospendere l’esecuzione del tampone per i contatti stretti, i quali potranno concludere la loro quarantena al 14^ giorno”.

La priorità deve essere data ai casi sospetti mentre viene inibito a medici e pazienti di aggirare la disposizione, mandando l’assistito che deve fare un tampone negli ambulatori ad accesso diretto “anche se con vostra impegnativa”. E dunque è necessario “evitare nel modo più assoluto che il paziente si rechi negli ambulatori ad accesso diretto, anche se con vostra impegnativa. Ci è noto che alcune strutture purtroppo inducono tale prescrizione, e ATS ha provveduto tempestivamente a richiamarle. L’accesso diretto è infatti riservato ai soli casi sospetti segnalati in ambiente scolastico, e il mancato rispetto di questa indicazione è la principale causa delle code nei punti prelievi (soprattutto drive through). Per queste ragioni non è opportuno rilasciare impegnative per il tampone e disincentivare l’accesso diretto al di fuori della casistica scuola”.

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