Per prima cosa grazie. Grazie agli operai della Whirlpool di Napoli per la loro tenacia, per il loro profondo senso democratico, per ciò che stanno dimostrando in queste ore delicate. Sono convinto che tutto il centrosinistra e le forze di governo debbano dimostrarsi solidali e dare una risposta immediata a un sacrosanta rivendicazione: il diritto al lavoro. Aggiungo: a Napoli.
Perché la cessata produzione della Whirlpool di Napoli il 31 ottobre è inaccettabile, sul piano politico e sul piano industriale. È un tradimento nei confronti di 355 lavoratori (800 se contiamo l’indotto), nei confronti delle loro famiglie e di tutta la città. Con la beffa che tutto questo avviene in un momento di piena emergenza sanitaria. Non possiamo restare indifferenti.
La priorità deve rimanere ancora quella tentare ogni strada per far rispettare all’azienda gli accordi chiari e ineludibili. Bisogna prendere atto che il governo si stia rendendo disponibile al dialogo con le parti sociali e che abbia richiamato al tavolo negoziale la multinazionale, offrendo anche ulteriori soluzioni per mantenere in piedi l’accordo. Sarebbe stato un errore limitarsi a prendere atto della decisione dell’azienda.
Bisogna tenere il punto con fermezza: non si accettano ricatti da parte della proprietà. Il piano industriale siglato nel 2018 ha ancora pienamente valore, altrimenti non si spiegherebbe, a parità di condizioni, il mantenimento di siti produttivi in altre località europee.
Nel frattempo, bisogna garantire due cose. La prima, è che fino al termine della emergenza sanitaria si trovino strumenti di accompagnamento per mantenere aperta la produzione e rinviare decisioni definitive quando il mercato si ristabilizzerà. La seconda, cruciale, è mantenere il blocco dei licenziamenti e garantire gli ammortizzatori sociali ai lavoratori.
Nell’eventualità che si esauriscano tutte le soluzioni possibili con l’attuale proprietà, non bisogna farsi trovare impreparati. Già da ora, bisogna prefigurare scenari e opzioni alternative per lo stabilimento e i suoi lavoratori.
La mia posizione è semplice: si pensi a una riconversione produttiva della fabbrica, perché nessuno deve rimanere a casa.
Una riconversione è un processo complesso, ma abbiamo degli strumenti immediatamente attivabili per affrontarla. Una strada sarebbe la richiesta di partecipazione al fondo di Europeo di Adeguamento alla Globalizzazione.
Così, sarebbe possibile offrire una concreta possibilità di riconversione all’azienda, formando i lavoratori alle nuove tecniche produttive richieste. Inoltre, ciò permetterebbe di innovare il tessuto industriale napoletano e più in generale campano.
Sono convinto, che con lo sforzo di tutti, saremo in grado di vincere questa sfida. Insieme.