LA SCOPERTA DELLA CURRYWURST - 2/3
Quando si va alla ricerca del tempo perduto si rischia di imbattersi in madeleine classiche, in mignon della Pasticceria Cova (Fedeltà – Marco Missiroli – Einaudi), ma anche in qualcosa di meno raffinato culinariamente come il currywurst della signora Lena Brucker da Amburgo. Il disturbo di rievocare un sapore dell’infanzia se l’è tolto herr Uwe Timm con La scoperta della currywurst (Sellerio). Espediente formale delizioso per andare ad aprire lo scrigno di una memoria individuale (quella di frau Brucker) sulla quotidianità anseatica degli ultimi giorni della Germania nazista e della conseguente ricostruzione post primo maggio 1945. Prima riga del romanzo ed ecco il ricordo secco: “l’ultima volta che ho mangiato il currywurst al chiosco della signora Brucker…”. Seguono poche paginette con pennellate descrittive sulla protagonista provenienti dalle considerazioni dell’anonimo narratore, la cui zia vive ancora nel palazzo dove la Brucker abitava all’ultimo piano. Appartamento però oramai vuoto, perché giusto l’amen di un punto e a capo e il narratore si trova davanti all’anziana signora Lena, quasi cieca ma comunque iperattiva (anche al fornelletto) in una stanza di un ospizio. È lì che la donna inizia a raccontare l’origine di quella ricetta e di quel sapore (l’ha forse inventato davvero lei?), fondendo in un flusso unico la sua voce con quella del narratore, rievocando i giorni in solitaria nel suo appartamento di Amburgo all’ultimo piano, con gli inglesi a pochi chilometri, e un disertore dell’esercito tedesco incontrato in un rifugio antiaereo invitato a salire in casa dopo il cessato allarme. La rievocazione è penetrante e olfattiva (quell’odore/puzza delle persone è descritta con una maestria realista sconvolgente). I dettagli intimi della protagonista (la relazione casuale e passionale con lo sconosciuto soldato, l’attività del marito scomparso) veleggiano sullo stesso piano di quelli macroscopici della storia universalmente noti (la ritirata nazista e la vita nelle città sotto il coprifuoco). Ne esce una novella magicamente perduta in minute e ipnotizzanti divagazioni (l’ “archeologia del quotidiano”). Lena che racconta, sferruzza e allontana materialmente la morte. Le parole crociate di Bremer, l’amante, in silenziosa attesa dei tanti ritorni della donna. Un brodo che si allunga letterariamente con stile, come in quel tegamino della protagonista trasformando la bollitura di carote e patate rafferme come fosse un elaborato brodo di granchio. Ogni singolo carattere del racconto è infine colto e fermato attorno alle proprie recondite paure, ancorato perfino al tema di una resistenza al nazismo inconsueta, antieroica, concreta e poco frignona (il cuoco mago di ogni ricetta con ingredienti poveri, che fa silenziosamente e volontariamente cagare addosso o vomitare gli ufficiali con i suoi ricercati manicaretti, è il nostro preferito). In alcuni passaggi potrà ricordare il disincanto di qualche racconto di Heinrich Boll o persino il rapporto sentimentale di Lettera a Berlino di McEwan, ma La scoperta del currywurst rimane una felice, autentica, inestimabile traccia di letteratura tedesca tardo novecentesca – scritta nel 1993, ma tradotta in italiano e pubblicata solo nel 2020 – altrimenti perduta nell’oblio. Voto (con assaggio del currywurst originale): 8