L'ex premier accusa la procura di aver mandato "300 finanzieri" a casa di imprenditori amici per eseguire delle perquisizioni che poi la Cassazione avrebbe annullato, come nel caso di Carrai. Ma nelle motivazioni gli ermellini contestano di aver "dato per scontata" l'equiparazione della Fondazione Open a un'articolazione di partito. Che eventualmente va dimostrata con una "rigorosa verifica" della sua azione. Proprio quello che i pm potrebbero aver fatto prima di indagare Renzi
Per Matteo Renzi l’inchiesta sulla fondazione Open, l’ex cassaforte fiorentina che ha finanziato la sua scalata al potere, è “un assurdo giuridico“, messo in piedi da magistrati “a cui la ribalta mediatica piace più del giudizio di merito”. L’ex premier accoglie così la decisione della procura di iscrivere anche lui nel registro degli indagati insieme agli ex ministri Maria Elena Boschi e Luca Lotti con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti. Intervenuto in apertura dell’assemblea nazionale di Italia Viva, Renzi accusa i pm di aver mandato “300 finanzieri” a casa di imprenditori amici per eseguire delle perquisizioni che poi la Cassazione avrebbe annullato. Il riferimento è al ricorso presentato da Marco Carrai – uno dei membri del consiglio direttivo di Open – contro il sequestro di pc e documenti, poi accolto “con rinvio” dalla Suprema corte. In realtà, nelle motivazioni di quella sentenza gli ermellini contestano al Riesame di aver “dato per scontata” l’equiparazione della Fondazione a un’articolazione di partito. Cosa che eventualmente deve essere dimostrata al termine di una “rigorosa verifica” dell’operatività di Open, in modo tale da dimostrarne la sua “univoca destinazione”. Ed è proprio quello che la procura potrebbe aver fatto prima di iscrivere Renzi e il resto del Giglio magico nel registro degli indagati. “Oggi mi sarei aspettato da quei pm di Firenze una lettera di scuse“, tuona invece l’ex presidente del Consiglio. “Invece è arrivato un avviso di garanzia che riguarda tutto il cda di Open, compreso il sottoscritto“.
A oltre un anno dall’avvio delle indagini su Open, per Renzi è come una ferita che si riapre. È in quel momento che, a suo parere, Italia Viva ha iniziato a perdere consensi. “Eravamo partiti alla grande un anno fa dopo la Leopolda, stavamo puntando al 10 per cento nei sondaggi e avevamo centinaia di migliaia di euro di finanziamento, poi cosa è successo? Uno scandalo, o meglio un presunto scandalo“, dice in diretta sul web da una terrazza romana. “Quella vicenda ci ha causato un danno pazzesco: i sondaggi hanno cessato di crescere, i soldi hanno smesso di arrivare, un danno enorme anche alla nostra capacità attrattiva: molte persone non sono passate con noi perché avevano paura“. Tutto a causa di magistrati che “seguono la viralità sui social più che le sentenze della Corte di cassazione”. Dopo che gli ermellini hanno accolto il ricorso presentato da Carrai contro il sequestro di documenti e pc, infatti, in tanti dentro al neonato partito dell’ex segretario dem hanno esultato, sostenendo che la Suprema corte abbia demolito l’impianto accusatorio su cui si basa l’inchiesta. “Noi abbiamo talmente rispetto nella magistratura che le sentenze della Cassazione le abbiamo lette”, ribadisce oggi Renzi. “Spero che le abbia lette il pm di Firenze o che almeno le abbia capite. Nel dubbio starà ai nostri avvocati”. Poi conclude: “Purtroppo l’ansia di visibilità di qualcuno rischia di nuocere anche agli altri magistrati”.
In realtà, stando alle motivazioni della sentenza (in cui sono state accolte gran parte delle richieste della difesa di Carrai), gli ermellini della sesta sezione penale non hanno smentito l’operato dei pm fiorentini. Hanno invece contestato al tribunale del Riesame di Firenze di aver “dato per scontata” l’equiparazione della Fondazione Open a un’articolazione di partito. Equiparazione che, spiegano, può essere provata solo alla luce di una “rigorosa verifica dell’azione della fondazione, del tipo di rapporto con il partito o con suoi esponenti, della rilevanza della sua operatività ai fini dell’azione del partito o dei suoi esponenti, della sostanziale mancanza di una funzione diversa e autonoma, manifestatasi costantemente negli anni”. Tutte analisi che, chiarisce la Cassazione, il tribunale fiorentino non ha condotto, limitandosi a “prendere atto della tesi accusatoria” ed elencando “una serie di elementi probatori, riferiti a contribuzioni della Fondazione a sostegno di iniziative di un partito o di suoi esponenti, ma avendone erroneamente data per scontata una sorta di autoevidenza”. Da qui la decisione di accogliere il ricorso di Carrai, rinviando però di nuovo tutto il dossier al tribunale del Riesame per un nuovo verdetto “alla luce dei principi esposti”. Diverso è il caso dell’amico dell’ex premier Davide Serra: finito nella lista degli imprenditori perquisiti, anche lui si è appellato alla Cassazione. I giudici hanno disposto l’annullamento senza rinvio.
Come si spiega quindi l’allargamento dell’inchiesta con l’iscrizione di Renzi, Boschi e Lotti nel registro degli indagati? L’ipotesi è che tra il 19 ottobre scorso – data in cui la Cassazione ha depositato le motivazioni della sua sentenza su Carrai – e il 2 novembre (cioè quando i tre avrebbero ricevuto l’avviso di garanzia), i pm fiorentini abbiano acquisito nuovi elementi su Fondazione Open, risultanti dalle analisi del materiale probatorio raccolto finora. Per poter parlare di una vera e propria “articolazione di partito”, hanno infatti specificato gli ermellini, “non è sufficiente una mera coincidenza di finalità politiche, ma occorre anche una concreta simbiosi operativa, tale per cui la struttura esterna possa dirsi sostanzialmente inserita nell’azione del partito o di suoi esponenti, in modo che finanziamenti ad essa destinati abbiano per ciò stesso una univoca destinazione al servizio del partito“. Non basta quindi che una fondazione contribuisca alle spese di alcuni parlamentari per considerarla alla stregua di un’articolazione di partito. Per poter effettuare questa equiparazione “è necessario non solo dar conto di erogazioni o contribuzioni in favore del partito rivenienti dall’ente formalmente esterno al partito, ma anche del fatto che la reale funzione di esso, al di là di quanto in apparenza desumibile dalla cornice statutaria, possa dirsi corrispondente a quella di uno strumento nelle mani del partito o di suoi esponenti, in assenza di una sua effettiva diversa operatività”. È proprio la tesi che i magistrati fiorentini hanno intenzione di dimostrare.