Joe Biden è il nuovo presidente degli Stati Uniti. Come ha fatto un candidato così poco energico e per nulla carismatico a battere un tornado come Donald Trump?
No, non è per i brogli elettorali. Ma Trump ha tutto il diritto di opporsi ed è normale che lo faccia. È capitato più volte nella storia americana – e non solo – che il candidato perdente si appellasse alla Corte Suprema. Anche da noi un candidato sconfitto gridò al broglio elettorale e propose di ricontare i voti. Era Berlusconi nel 2006, sconfitto da Prodi. Negli Usa, nel 2000, fu la Corte Suprema a confermare George W. Bush come vincitore delle elezioni. A fare causa in quell’occasione fu il candidato democratico Al Gore, spinto dall’esiguo scarto di voti nello Stato chiave dalla Florida. Alla fine Bush la spuntò per soli 537 voti.
Trump parla di una “frode in atto” e farà dunque la sua battaglia, principalmente contro quel voto postale che temeva già mesi prima dell’election day.
Partiamo proprio da questo punto per capire la vittoria di Biden. Il fatto che abbiano votato per posta oltre 84 milioni di persone (un record) dimostra la paura del Covid da parte di molti americani. E se il voto postale è espresso principalmente da chi crede nel coronavirus e lo teme, è ovvio che una maggioranza delle schede via posta sia andata a favore di Biden, non del semi-negazionista Trump.
Il Covid quindi si è rivelato uno dei temi decisivi della campagna persa da Trump. Sulla pandemia il presidente uscente è stato contraddittorio. Prima non indossava la mascherina, poi diceva che le mascherine sono patriottiche. Alla fine si è beccato il virus, ma ha usato l’occasione per continuare a dire che non è pericoloso: “Non abbiate paura, non stavo così bene da vent’anni”.
Il negazionismo, come scrivevo su questo blog ad agosto, alla lunga non paga. Durante un’emergenza, mentre muoiono migliaia di persone al giorno e molti hanno amici e parenti ammalati, la popolazione vuole un leader stabile, rassicurante, non contraddittorio e spericolato.
Il primo fattore della sconfitta di Trump quindi non ha niente a che fare con i meriti comunicativi di Biden. Bene, neanche gli altri fattori che vedremo adesso.
L’unico merito, se così vogliamo chiamarlo, di Biden come comunicatore è almeno quello di non essere antipatico come Hillary Clinton. Non un simpaticone certo, non un trascinatore di folle, ma chi può trovare antipatico un uomo così silenzioso e pacato? Il candidato democratico, anche grazie a questo, non ha allontanato gli elettori e ha potuto beneficiare a pieno – in termini di consensi – delle disgrazie che si sono abbattute su Trump, durante la sua amministrazione. A partire dal Covid, appunto.
Il secondo fattore della sconfitta di Trump, concatenato alla pandemia, è quello economico. Possiamo riassumere la questione con questo post di Biden, pubblicato il giorno delle elezioni: “Sotto il presidente Trump: oltre 230.000 americani sono morti a causa del Covid; 30 milioni di persone hanno perso ore, stipendio o lavoro; quasi una piccola impresa su cinque ha chiuso. Stai meglio di quanto stavi quattro anni fa?”.
Ovviamente la crisi economica non è da attribuire a Trump, ma alla pandemia che ha prodotto effetti analoghi in tutto il mondo. Fatto sta che il Covid ha vanificato i buoni risultati della Trumponomics.
Questa strategia – quella di attribuire al presidente in carica gli effetti negativi apportati da fattori esterni – era già stata usata con successo nel 1980 da Ronald Reagan, in un confronto con l’allora presidente in carica Jimmy Carter. Sul finale Reagan chiese: “State meglio o peggio di quattro anni fa? Se pensate di stare meglio oggi di quattro anni fa, votate per il mio avversario. Altrimenti, vi suggerisco di prendere in considerazione l’alternativa”.
Anche in quel caso i problemi economici di quell’anno non erano da attribuire al presidente in carica. Gli americani stavano peggio per una crisi energetica causata dalla rivoluzione iraniana che non era responsabilità di Carter e che portò i prezzi della benzina a livelli stellari, con code chilometriche alle pompe di benzina, scioperi degli autotrasportatori con conseguente svuotamento dei supermercati, milioni di disoccupati e aziende fallite.
Una strategia di comunicazione politica che funziona sempre.
Il terzo fattore imprevedibile che ha penalizzato Trump è quello dell’uccisione di persone di colore da parte di poliziotti bianchi, che ha dato il via alle proteste del movimento Black Lives Matter. Trump non ha voluto allontanare da sé, come avrebbe potuto fare, la responsabilità della disparità di trattamento da parte della polizia nei confronti dei neri. Forse per continuare a strizzare l’occhio alla destra radicale, come ha fatto coi suoi messaggi al limite del negazionismo sul Covid.
Le proteste degli afroamericani, seppur spesso violente, sono state fortemente appoggiate dal Partito democratico americano, a partire dai suoi più celebri esponenti, gli Obama. Anche il mondo dello spettacolo e dello sport si è schierato con il movimento di protesta, attaccando Trump. Un movimento per i diritti dei neri è diventato velocemente un movimento anti-Trump, portando a Biden il voto degli afroamericani.
Trump ha gestito male questo capitolo. Anziché garantire l’unità nazionale ha esasperato i toni arrivando a minacciare i manifestanti. Avrebbe dovuto tutelare la sicurezza dei cittadini durante le manifestazioni, certo, ma allo stesso tempo doveva condannare nettamente il comportamento di certi poliziotti, ammettendo un problema di razzismo negli Usa che lui ha sempre negato.
L’ultimo fattore – anche in termini di importanza – ad aver favorito la vittoria di Biden è quello dei media. La maggioranza delle tv e dei giornali statunitensi e occidentali ha attaccato duramente Trump durante tutto il suo governo, scendendo spesso sul personale. Anche i social network hanno fatto la propria parte cancellando alcuni contenuti di Trump. In particolare Twitter ha rincorso i tweet del presidente dall’election day in poi, oscurandone molti.
Questo significa realmente garantire un’informazione imparziale? I cittadini non sono in diritto di sapere cosa pensa l’uomo più potente del mondo, giusto o sbagliato che sia? Il dibattito è ampio e ne parleremo un’altra volta.
Dunque ha vinto Biden, ma sarebbe più giusto dire che ha perso Trump. Perché Biden, come detto, non ci ha messo molto del suo per ottenere questo risultato.
E adesso? La storia non finisce qui. Trump continuerà a contestare il risultato delle elezioni. Questo sarà un primo esame per testare il temperamento del nuovo presidente Joe Biden. Riuscirà a fare il suo lavoro o passerà quattro anni a parare gli attacchi dell’ex presidente?