Scuola

La scuola finora è stata il capro espiatorio delle difficoltà del Paese. Con una beffa in più

Breve sintesi dei fatti: dopo tante critiche, dissensi e scioperi, la ministra della Pubblica Istruzione Lucia Azzolina e molti sindacati convergono, nei giorni scorsi, nonostante le infinite differenze, su due punti decisivi: la necessità di tenere aperte le scuole e l’importanza della didattica in presenza. Il governo si muove però in altra direzione, e questo crea, diciamo così, un mal di pancia alla Azzolina: “…per quanto mi riguarda potrò sentirmi sollevata soltanto quando tutti i miei studenti potranno tornare in classe” (Corriere della Sera, 5 novembre).

Contro la chiusura degli Istituti si sono schierati i sindacati (penso alle importanti dichiarazioni del segretario della Cgil-scuola Francesco Sinopoli), gli studenti, i Presidi, i genitori, i docenti. Perché dunque s’è arrivati al lockdown esteso, nelle zone rosse, pure agli alunni di seconda e terza media? Per la necessità, dicono, di frenare la pandemia. Come se le scuole – è questo il punto – fossero focolai di virus e diffusione del male, mentre nessun luogo in verità è sicuro come gli Istituti scolastici: studenti disciplinati e sensibili al problema Covid, mascherine, sanificazione dei locali, distanziamento, vigile controllo dei prof in classe, supervisione dei bidelli nei corridoi. Chi ha esperienza del sistema-scuola sa che è così.

La verità è che studenti, genitori e prof pagano l’incapacità organizzativa delle regioni nel campo sanitario e dei trasporti: è sui pullman il maggior rischio d’infezione. Ora il nuovo Dpcm sana alcune falle: tutti i mezzi tornano alla capienza massima del 50%; il Paese è diviso in tre fasce di rischio e, con scelta oculata, siamo ai lockdown differenziati. Bene, ma sulla scuola ricadono gli effetti di tanti errori.

Stimo Conte, Speranza e molti ministri, ma non posso non vedere che l’istruzione e la cultura in genere, vista la fretta con cui sono stati chiusi cinema e teatri, sono stati maltrattati. Si dice: in piena tempesta Covid, il sistema scuola non regge. E allora perché Francia, Gran Bretagna, Germania eccetera non hanno chiuso con una situazione pandemica peggiore della nostra?

Pensava ad altro, Gigi Proietti, ma i suoi versi interrogano anche noi: “Nun è troppo improvviso er temporale?/ Qui vonno fa’ cascà tutto er Cibborio!/ (…)/ bisognerà trovà er capro spiatorio”. Ecco: er capro spiatorio. La Azzolina dice cose simili con una punta d’ottimismo in più: “In Italia la scuola non è stata mai considerata nello stesso modo che negli altri Paesi… ora è cambiata la musica”. Sarà così?

Non voglio alimentare dubbi, ho fiducia nel governo e avverto la difficoltà dell’ora ma non posso non vedere che la scuola, fino a oggi, è stata davvero il capro espiatorio delle difficoltà del Paese. Con una beffa in più. Insomma, sono importanti le disposizioni governative, da rispettare sempre, e la didattica, la ricerca, le metodologie pedagogiche; ma conta molto, credo, anche ciò che si vive sul campo.

Dunque: “Sono partito da Roma – mi dice un collega – ho preso il pullman per arrivare alla stazione, e poi il treno per venire fin qui, puntuale, adesso vado in classe a fare lezione nell’aula vuota, col computer, a 25 alunni che mi guardano da casa, da piccoli quadratini offuscati su uno schermo. E’ assurdo fare lezione così; ed è insensato che io non possa farla – se devo – da casa mia; eviterei almeno mille contatti fisici durante il tragitto (e possibili infezioni) per arrivare in un’aula deserta. Sbaglio?”.

No. Non è affatto sbagliato. Nelle maglie dei Dpcm si annidano incongruenze, genericità, contraddizioni, forse inevitabili visti i tempi e la fretta con cui si opera. Comprendo. Resta il fatto che è illogico che situazioni come questa continuino. Chi può provveda, e quando non ci sono attività laboratoriali si eviti al docente di stare in classe di fronte a banchi vuoti.